Da "Lettere ai condannati a morte della Resistenza" a cura di Mattia Fontanella, pubblicate da Il cantiere di Bologna. 

Lettera a Fidardo De Simoni, ucciso alle Fosse ardeatine

di Davide Ferrari


Gentile Signor De Simoni, ho trovato il suo nome fra gli uccisi. Poco si parla di voi, siamo costretti ancora a parlare delle responsabilità che i politici della destra italiana vorrebbero assegnare ai partigiani, anche in questa vicenda. Comunque siano andate le cose lei è stata una delle vittime. Lei, un innocente. Lei, come Cristo. Non si usa più richiamare il titolo di nostro Signore, tantomeno l’esempio. Ma Lei era un cristiano, credeva nell’Evangelo, in tutta la Bibbia.

La Bibbia non scherza. Parla delle terribili punizioni e della giustizia del Dio degli eserciti, ma comanda che lo straniero sia accolto come uno di famiglia, sempre. Lei era nato ad Acqualagna, vicino a Pesaro e viveva a Roma. La sua strada, con un nome bellissimo e dolce, via dei ciliegi, è a Centocelle. Un giorno portò a casa tre soldati, magri, impauriti come tutti gli uomini in fuga dalla guerra. Solo in una cosa erano diversi da Lei e da me: erano inglesi. Non conosco il loro nome, non so dove li avesse incontrati. Erano stranieri. Volevano vivere. Li nascose. La gentaglia che sempre aiuta gli oppressori la denunciò. La imprigionarono. Certamente avrà avuto paura. Avrà pregato.

Ancor di più avrà pregato quando con i suoi compagni di sventura l’hanno portata alla morte. Il comando britannico, ho letto, ha mandato una lettera di encomio a sua moglie. Non è vero che solo i cristiani, i cristiani veri intendo, come Lei, hanno aiutato i fuggiaschi. Ma lei ha DOVUTO aiutarli. Non c’è una terza possibilità: o Resistenza o resa, per essere fedeli, come indicava il suo nome, Fidardo. Queste parole le scrisse Dietrich Bonhoeffer, ma lui era un Pastore eccezionale, di una cultura sconfinata, un uomo grande, non un piccolo cristiano come Lei e come me. Ma i doveri di ogni cristiano sono gli stessi, improrogabili, e tutti noi, diciamo la verità, li conosciamo. Permetti che ti dia del tu? Fratello De Simoni, nel 1935 avevi aderito ai Pentecostali. Siete una Chiesa entusiasta, vi piace cantare e incitare a voce alta il predicatore, lodando Iddio. La prima volta che ho partecipato a un culto pentecostale non sapevo nulla delle vostre celebrazioni vivaci, delle vostre frequenti esclamazioni di fede. Ne rimasi meravigliato, quasi sobbalzando alle prime voci, io, valdese, calvinista abituato alla massima sobrietà possibile.

Il fatto è, Fidardo, che tu a quelle parole di fedeltà hai creduto veramente. Per questo motivo gli assassini ti hanno rapito la vita a 45 anni. Mi chiedo cosa ci racconteresti, oggi. Le lettere di alcuni condannati a morte, in altri frangenti, ci sono giunte: qualcuna ha la bellezza di una poesia. Altre sono state scritte con parole commosse e terribili: libertà, eguaglianza, onore, amore, madre, sposa, figli. Forse a te sarebbe venuta fuori solo una parola breve, un nome che ti diceva tutto: Gesù. Non potevi girare la testa, lasciar fare, abbandonare, “Gesù non vuole”. Non avevi forse nient’altro da dire, se non l’abbraccio alla tua famiglia, la richiesta che ti perdonasse. La piccola fotografia tua che è nel fascicolo, la cartellina rosa dell’associazione dei familiari delle vittime, ingrigita, oggi anche su Internet, ti rivela un uomo del popolo, uno come tanti, ma i tuoi familiari avevano il diritto di averti sempre con loro, come tutti, come le famiglie dei filosofi e dei letterati. Chissà quante volte qualcuno avrà detto loro, usando la perfidia nascosta in tutti i luoghi comuni, che i sacrifici non servono a nulla, le testimonianze le danno i poco furbi, i poveri di spirito, perché la vita non ha mai un lungo futuro e, in fondo, non serve a nulla. E quante volte l’avranno detto a te. Immagino che non avrai risposto nemmeno, forse hai detto loro soltanto, a mezza voce: Gesù, Gesù.