sabato 16 marzo 2013

I selvaggi bus.


Alle fermate senza bus, con i passeggeri arrabbiati per gli scioperi all'improvviso, si sono ritrovati a dire No, amministratori pubblici e portavoce dei partiti. E' naturale, è giusto. I trasporti, nella vita quotidiana, sono una dura necessità. Qualunque protesta deve tenerne conto. Ma, sì c'è un ma, la condanna va ribadita-chiara- ma non basta.
Affermatisi nel boom degli anni dello sviluppo e della redistribuzione sociale, come una categoria di “aristocrazia operaia” i lavoratori dei trasporti urbani erano fra le colonne di un sindacalismo forte e consapevole. Poi è caduta, nonostante la resistenza dei nostri Enti Locali, la pioggia fitta della destrutturazione e della precarizzazione, del risparmio a tutti i costi sulla manodopera, la pioggia acida delle “altre priorità”. La responsabilità vince quando ci si sente “importanti” per tutto il sistema. Ma, i trasporti, lo sono ancora? Leggi dopo leggi hanno stabilito: i costi sono troppo alti , bisogna tagliare, competere. Ci pensino i privati o almeno li si imiti. Ma un treno, un autobus non sono merci qualunque, sono i mezzi sui quali un mercato sano dovrebbe poter correre. Hanno una funzione sociale, per l'economia e per la qualità della vita. Sono, poi, l'alternativa, se di qualità, alla dissipazione energetica ed all'inquinamento. Non sappiamo se i “rivoltosi“ credono in queste ragioni. La loro forma di lotta certo favorisce l'opposto, un altro passetto verso il degrado, nell'Italia dei vaffanculo. Ma se ad ogni critica loro rivolta non si unisce il richiamo e l'impegno ad una svolta, il senso del trasporto come bene comune, la risposta sarà generica e debole. Troppo.  

"Il contrario"
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R
16 III 2013