Dobbiamo sapere, tutto. Come azzereranno l'Imu quelli che l'hanno istituita, la sfida al diabete del consigliere che si fa comprare la Nutella, il nome dei cagnolini di Silvio e di Mario. Possiamo indignarci, urlare, mandare altrove tutti i politici, la “casta”. Perfino scagliarci contro Fabrizio Corona. Tanto, qualunque cosa gli si dica si rischia di prenderci. Di operai, no, meglio non dire, non sapere. Se proprio si vuol essere di Sinistra, magari intellettuali (quanto silenti!), ci si può divertire alle imitazioni di Marchionne. I morti, gli ammalati, per lavoro? Si pianga sulle statistiche, si stia sulle generali. Sui diritti negati si allarghino le braccia, si sfumi nei trafiletti. Così il lavoro dipendente si trasforma in “appartenenza”. Il lavoratore non più persona, ritorna oggetto. I muri della sua fabbrica, è anche “sua”, vi lavora, diventano memorandum sul dovere di appartenere, lui, alla fabbrica, a chi la possiede. L'”undici”dello scudetto, affisso alla Marelli, ”anti-assenteismo”, è questo. Infatti se ne scrive con parsimonia. Dispiace che venga usato quel Bologna “del popolo”. Vengono in mente Fulvio Bernardini, il “dottore”, un fior di democratico, e la nostra gente allo Stadio, o ai giardini, la Domenica, l'orecchio attaccato alla radio. Nielsen, cancellato col photoshop, dovrebbe sentirsi male augurato. Ma il problema non è lo strumento rossoblù che si utilizza, è la “ratio” di queste campagne. Mia mamma fu impiegata alla Ducati, nell'era fascista. Raccontava dei cartelloni con la scritta: “Salutare i superiori guardandoli negli occhi”. Capiva bene il loro significato. “Tu sei nostra!”. No. Fra lavoro e impresa ci deve essere un “contratto”, doveri e diritti, responsabilità, certo, ma “voce in capitolo”. C'è crisi, servono uomini e donne, non sudditi.

"Il contrario", rubrica di Davide Ferrari, L'Unità E-R, 9 II 2013