sabato 10 marzo 2012

Marco Biagi. Dieci anni dopo.

Lo attesero nell’androne della Stazione, nelle strade dell’Università. Impararono i suoi percorsi, in treno, in bicicletta, a piedi. . Conobberò la regolarità e la modestia della sua vita di studioso. Videro la sua lontananza dalla vita degli uomini di potere e di ricchezza. Sepperò, ma non si fermarono. Uccisero Marco Biagi. Le mani armate dall’odio che travolge, dal pressapochismo dell’ideologia ( “E’ lui, è lui il nemico” e tanto deve bastare), e dalla vigliaccheria. Sì, è più facile colpire dove meno è la forza, inesistente la difesa. La Signora Orlandi, vedova del Prof. Biagi lo ha detto. Ha detto dell’abbandono da parte di uno Stato che non lo proteggeva, mentre gli chiedeva di firmare ipotesi ardue, dure, di ristrutturazione del mercato del lavoro, di esporsi, di garantire. La scorta che accompagna tanti, gli venne negata. E, dopo, vigliacchi, anche loro, altro non seppero fare che aggredire i lavoratori ed i loro rappresentanti, additarli a colpevoli, a mandanti. Dopo dieci anni non ne ascoltiamo una parola di pentimento. Nemmeno una parola che vada oltre l’usuale. Il compito resta a noi. Dopo dieci anni proviamo a dare il meglio, per unire la resistenza del lavoro all’intelligenza di ciò che accade, la tenacia della lotta al rispetto, negli altri, della scintilla della verità.


"Il contrario"
rubrica di Davide Ferrari
L'Unità E-R 10 Marzo 2012