domenica 6 giugno 2010

Bologna, le tre città, la cultura

Bologna è città di chiari e di scuri. E’ immagine dei suoi portici, vissuti insieme dalla socialità e dal degrado, non solo negli anni che ci troviamo a vivere, ma sempre. Bisogna riconoscere la natura della città e, senza negare limiti e lenti movimenti, mai arrendersi ad una visione pigra, avara, tutta in negativo.
La sua produzione culturale resta ampia e strettamente unita ad una frequenza degli eventi culturali, ancora senza eguali altrove. Qui l’eccellenza non si può astrarre dalla quantità. In ogni campo la forza di Bologna è nell’ordito, nella trama delle possibilità.
Una politica culturale fatta di grandi eventi isolati difficilmente potrebbe metterne in rilievo le realtà più affermate, e soprattutto non promuoverebbe le possibilità di nuovo, di ricambio. La prima scelta deve essere allora quella della cura, di una attenzione a tutti i talenti e insieme alla vastissima operosità diffusa.
Non c’è nulla di più provinciale che giocare tutte le carte su poche storie mediatiche scontate e costose, alzare la voce mentre le gambe affondano. Ci sono tre città a Bologna. C’è quella dei “cittadini”, invecchiata ma ancora permeata di una cultura della curiosità, che va ascoltata e non archiviata. Viene poi quella degli studenti, generazione culturale, madre delle idee potenziali, valore aggiunto di intelligenza. C’è, ancora negata, la terza città, quella degli stranieri. Inutile chiamarli, come pure si dovrebbe”nuovi cittadini”, se la loro produzione culturale viene in larghissima misura ignorata.
Quello che dovrà fare il Comune, quando tornerà, sarà coordinare, non sostituire. Basta con Assessori che si credono direttori artistici. Serve una progettualità di sistema, che lavori per sollecitare, coinvolgere, far interagire le tre città che sono Bologna.
E della progettualità dovrà far parte l’esattezza e la credibilità. Gli annunci sono stati tanti, troppi. E’ difficile non dire che le nuove idee più urgenti potrebbero essere innanzitutto il completamento, o l’avviamento, di quanto da tempo atteso. Pensiamo alla città metropolitana, essenziale per la precaria sostenibilità della politica culturale, al distretto multimediale, ai progetti per una urbanistica che punti sull’equilibrio e la bellezza di una città che ha perso abitanti come si perde sangue.
Se proprio dobbiamo lanciare altre parole, questa siano: musica, arte, poesia e giovanissimi. Portare la cultura viva dentro le scuole e l’Università, e trarne non solo formazione ma civiltà. Bisogna investire qui quel che ancora abbiamo. Dare vita e risorse a decine di ateliers dove lavorino assieme generazioni diverse, dove mettano il cuore le istituzioni culturali e i luoghi di eccellenza dell’arte e dello spettacolo, dove rinasca il rapporto maestro-allievo. Ricordo Leo De Berardinis. Non fa moda per un intellettuale parlare di scuola, ne rivela una dimensione minuta? Anche da simili pregiudizi è partita la vite della crisi. Da qui, rovesciando il movimento, si può ripartire.


Davide Ferrari

La Repubblica, Bologna
Domenica 6 Giugno 2010