sabato 15 maggio 2010

Coppi, per sempre.

A 50 anni dalla morte di Fausto Coppi.

Coppi è stato molte cose e diverse.
E' stato l'eroe solitario, trionfatore su tutti i terreni e con tutti i climi. L' Indiana Jones degli anni 40 e 50.
Era il Coppi elegantissimo della pista, dei mondiali di Inseguimento, del record dell'ora, nobile e traslucido come le sue maglie Bianchi ed era il Coppi dello Stelvio, stravolto, proletario, vincitore.
Coppi: l'uomo riservato, ma laico, libero nelle sue scelte e nei suoi amori, negli anni delle Madonne piangenti e delle scomuniche elettorali.
Ha avuto mille avversari e un vero rivale, per il quale era imprendibile ma sempre sfidabile. La rivalità con Gino Bartali lo ha umanizzato, fatto bandiera di un partito sterminato di tifosi, soggetto di milioni di scommesse.
Ha vinto meno di Binda e meno, molto meno di Eddy Merckx, di Hinault, di Indurain.
Ma il campionissimo è solo Lui, non solo per i ricordi degli italiani.
Forse perché la perfezione dello stile e il fisico esile, solo polmoni e muscoli lunghi delle gambe, lo rendeva il perfetto uomo-bicicletta, l'irraggiungibile modello di un ciclismo che con lui è diventato moderno.
Quando ha iniziato i copertoni si portavano ancora incrociati a tracolla, quando ha terminato la carriera eravamo già alle soglie dello sport medicale e cibernetico.
E poi non ha conosciuto la vecchiaia, come Achille, dal piede veloce, come tutti gli eroi dell'epica.
Una malattia curabile e vigliacca, presa in uno sciocco safari, a quarant'anni, quando ancora, sia pure con fatica gareggiava, lo ha strappato alla vita e alla cronaca e lo ha fissato per sempre nella storia e nella leggenda.
Siamo un paese dove a volte anche i ricchi ed i campioni sono curati male. La malaria scompariva dalle nostre paludi prosciugate e tornava nel suo sangue e nel suo respiro, dall'Africa.
La mia generazione ha visto vivere solo Bartali, ma paradossalmente, in negativo, dalle stigmate di Gino, il naso, la rabbia, la voce alla Louis Amstrong, la cocciuta simpatica incompiutezza di uomo tutto di terra, ha ricavato il calco in gesso di Fausto, la sua leggerezza, la sua essenza di uomo volante, il suo segno impalpabile e celeste.
E lo abbiamo sognato ed amato.
Per questo, e dopo ce n'è dispiaciuto, non abbiamo potuto amare fino in fondo i grandi dell'epoca nostra, il fuggitivo mondiale Adorni, il capitano Gimondi, il cuore matto Bitossi e tanti altri.
Coppi era ancora per noi, vittorioso sui vivi, più grande dei vivi. Sulla spiaggia, da "cinni", abbruttiti dal sole, con il tallone disegnavamo una pista, ed ecco il nostro Giro d'Italia, fatto con le palline, metà colore e metà testa di un campione. La "palletta" con il suo viso sottile andava in premio al più bravo. Non quella di Ocana o di Anquetil. Prima Coppi, e nessun altro.

Davide Ferrari
Quotidiani Epolis.