giovedì 14 gennaio 2010

Stranieri in classe. I simboli e la sostanza della Gelmini.

Il Ministro Gelmini ha indicato il 30 per cento come tetto massimo di alunni stranieri nelle classi italiane.
Gia’ nelle scuole maggiormente investite dal problema, a Bologna siamo al 12 come media generale con punte elevate nella scuola di base e nei professionali, la dirigenza scolastica degli Istituti e gli stessi organi ministeriali, in collaborazione con gli enti Locali, avevano realizzato “regolamenti” per l’accesso e accordi importanti per rendere più vera l’integrazione e coinvolte più omogeneamente tutte le classi di un territorio.
Noi siamo d’accordo con loro: programmazione sì, tetti no.
Perché?
Il Minsro, di fronte all’ingestibilità della sua direttiva, ha versato acqua, escludendo dal computo i nati in Italia. Ma la sostanza resta grave.
Perchè la Gelmini non vuole una media da raggiungere con interventi programmatori, il famoso “buon senso” di cui hanno parlato molti commentatori, sbagliandosi.
Si tratta di un obbligo imposto a tutte le scuole, di ogni ordine e grado e di ogni indirizzo, senza alcun coinvolgimento, nelle scelte , delle Regioni, degli Enti Locali, delle componenti della comunità scolastica.
Le eventuali deroghe saranno decise dal Ministero stesso, attraverso i dirigenti regionali.
Alla faccia del federalismo. “Alla faccia del bicarbonato di sodio!” avrebbe esclamato Totò.
Ed alla faccia del Titolo V della Costituzione che assegna la competenza alle Regioni, in “legislazione concorrente” con lo Stato e sancita l’autonomia delle Scuole.
Le parti politiche più vicine al Ministro, e a lei più care, come la Lega hanno immediatamente colto il senso di questa decisione.
Il punto del messaggio simbolico di Gelmini è questo: Al motto che recitava: “Non uno di meno”, intendendo che nessuno doveva essere lasciato in solitudine senza opportunità, si sostituisce il dettato leghista: ”Non uno in più”.
Se qualcuno a tavola non ci starà, che se ne vada, altro che aggiungere un posto!
Non è solo una questione, pure gravissima, di simboli, non c’è solo la responsabilità di contribuire a far considerare gli stranieri il primo e principale pericolo per la qualità della vita degli italiani, fin nelle aule, oggi, nei giorni di Rosarno.
Anche esaminando la questione concretamente si evidenzia il rischio di un forte abbandono della frequenza scolastica da parte di figli di famiglie straniere. Chi sarà in grado, per condizioni di lavoro, di istruzione, di orari, di seguire i propri figli nella ricerca di una scuola, non la più vicina ma la disponibile? E per i ragazzi più grandi la tentazione di lasciar perdere tutto sarà molto forte. E’ evidente che cio’ provocherà l’aumento del disagio sociale nelle generazioni più giovani, quelle dei figli di immigrati.
In quelli che sono giovani adesso, che parlano l’italiano sufficientemente bene, non sono nati in Italia, che si fanno amici fuori dal loro gruppo etnico solo a scuola.
Se molti insegnanti e dirigenti scolastici mettono in risalto la bruttissima pratica del trasporto speciale a destra e a manca dei piccoli “perdenti posto”, altrettanto grave, forse persino di più, sarebbe smembrare per razza classi già esistenti, costringendo gli alunni over 30 ad andarsene. Come si sceglierà poi chi rimane e chi va non è ancora dato saperlo.
L’ Italia ha già conosciuto alunni scomparsi dalle classi a motivo della loro razza.
Dopo le leggi del 38 toccò agli ebrei.
Cosa si deve fare, adesso?
Innanzitutto non lasciarsi prendere da polemiche su falsi terreni.
Così come non è vero che la Gelmini vuole l’integrazione così non è affatto vero che i democratici ed i progressisti vogliano classi affollate di problemi e di diversità.
Bisogna difendere ed estendere le buone pratiche già in essere e chiedere fondi adeguati per sostenerle.
Subito.
Qui gli Enti Locali, i loro Assessori ed anche i loro Consigli possono avere un ruolo importante, non tanto di supplenza quanto di immediato monitoraggio, insieme agli istituti scolastici ed alla loro associazione, delle criticità, in collaborazione con gli Uffici provinciali del Ministero ma anche con una propria capacità di proposta, basata sulla conoscenza dei dati demografici, dell’assistenza sociale, delle previsioni urbanistiche .
Guai a dividersi, per ruolo e sensibilità, fra chi deve comunque affrontare la “partita” così com’è e chi denuncia l’ideologia sottostante.
I dirigenti scolastici più avvertiti sanno che la partita della scuola è ancora aperta, e la loro professionalità può dare, proprio nei confini delle responsabilità che deve adempiere, un grande contributo, non fermandosi alla burocrazia, mettendo all’opera idee e relazioni umane.
E gli amministratori politici della nostra realtà sanno bene che non basterà la denuncia, che bisogna operare, e a lungo, per tessere una trama di cose da fare che aiutino le scuole e sostengano tutti i loro alunni, per evitare razzismo e guerre fra le famiglie.
Il Dirigente regionale dell’Emilia-Romagna ha dichiarato che non deciderà da solo.
Bene, occorre allora presentargli al più presto il quadro reale della situazione e chiedere di decidere assieme.
E’ chiaro che servono idee ma anche soldi.
Qui il piatto già piange, e i Comuni stanno investendo sempre di più, altro che :“i pulmini li mettete voi”, come intima Maria Stella.
Le scuole e gli Enti Locali bolognesi avevano lanciato , mesi orsono, una propria “vertenza” per richiedere docenti in numero sufficiente e le risorse finanziare occorrenti.
Mentre sui giornali tiene banco la Gelmini con le sue “circolari razziali” vengono sanciti nuovi tagli ai fondi delle nostre scuole, persino per le pulizie mentre il 60 per cento degli Istituti non ha ancora recuperato i crediti per il funzionamento ordinario.
Ma qui chi decide è Tremonti con la sua “pedagogia contabile”, come la definisce Rosanna Facchini, dimenticavamo. Mica la Gelmini!