venerdì 3 aprile 2009

“Amo la scuola”. 2 Aprile 2009. La relazione.

Partito Democratico di Bologna
Forum delle scuole

Convegno programmatico
“Amo la scuola”Bologna, sala della Cappella Farnese, palazzo d’Accursio, 2 Aprile 2009

Relazione introduttiva di Davide Ferrari

Abbiamo assemblato vari contributi che ci sono giunti in questi giorni e che troverete nella carpetta dei materiali. Contributi diversi che sono stati però molto utili per comporre un temario, una traccia di orientamento.
Un brogliaccio di temi che io penso possa essere utile sia ai candidati che sono presenti in sala, e saluto, alla Presidenza, Beatrice Draghetti , ma anche tale da poter aiutare anche le istituzioni, nel prossimo futuro.
L’impegno sarà lungo. Avremo un mandato comunque difficile, che dovrà affrontare il tema più grave del fare più cose con meno risorse. E questa volta, quando si dice “meno risorse” si parla davvero di molte, molte risorse umane e finanziarie disponibili, in meno.
Ecco, questo è lo scopo di questa iniziativa; iniziativa che si svolge in campagna elettorale ma che non ha un taglio elettorale, ha le caratteristiche e l’ambizione di misurarsi su un tempo più lungo. Diceva bene Luciano Russo, non siamo in un tempo normale. Siamo, appunto, in un tempo che viene “tagliato” dagli avvenimenti per usare una linguaggio divenuto familiare in ambito scolastico.
Ecco allora che abbiamo provato a fare questa sfida: vedremo se, questa sera, alla fine di questa lunga camminata avremo potuto lasciare, soprattutto a voi, indicazioni, temi, contenuti.

I valori, il fine della scuola.

Volevo partire da un aneddoto personale: mi è capitato di leggere, qualche giorno fa, in un testo di un centro di ricerca abbastanza importante, non proprio il primissimo, ma certamente fra i più importanti, un centro italiano, un elenco di quelli che, a loro dire, dovrebbero essere i valori posti come fine della scuola.
Ne sono rimasto colpito. I valori elencati erano, nell’ordine: autorità, gerarchia, e disciplina.
Certo, il momento è quello che è, e consideriamo importanti anche noi il rispetto, l’autorevolezza dei docenti. Però fa riflettere questo elenco, fa pensare che sono quegli stessi “valori” che il governo e le sue televisioni ci propongono con grande insistenza, insieme, con malcelata ipocrisia, ai mille e mille nani e ballerine che occupano gli schermi televisivi.
Chiediamoci: sono forse davvero questi i valori che ci deve assicurare la scuola? Io non lo credo, noi non lo crediamo. Ci sembra invece che i valori debbano essere ben diversi, che il fine dell’educazione debba essere quello di favorire una crescita individuale libera e piena, differenziata e ricca; che, in sostanza con una frase “l’apertura di porte e finestre nella vita dei bambini” dovrebbe essere il portato principale della scuola. E questa, se vogliamo, è la base di quella “naturale devozione della scuola alla democrazia”, di cui scriveva John Dewey e di cui recentemente la nostra Mauria Bergonzini ha scritto in un bel contributo.
Ecco il punto: oggi non si parla solo di tagli, ma anche – io penso – di una sfida sui valori. Siamo chiamati ad una battaglia culturale sui fini di fondo circa il ruolo della scuola. Dietro alla difesa che vogliamo fare, positiva e assolutamente necessaria, della scuola di tutti non c’è tanto la difesa di un servizio e di spazi di solidarietà. C’è di più: c’è il bisogno di riportare la scuola alla sua funzione, non a quelle funzioni plastificate e fasulle alle quali, certamente, le gravissime scelte del governo, ma anche, purtroppo, un certo dibattito culturale insistente quanto negativo e inaccettabile, vorrebbero condannarla.
“Amo la scuola” - ha voluto dire proprio questo il nostro titolo di questa sera – e cioè concepire la missione educativa come la più importante per la qualità della crescita sociale, certamente, ma prima ancora – e su questo punto insistiamo –per assicurare ad ogni individuo, ad ogni persona maggiore consapevolezza, dignità, libertà.
E’ acclarato, a nostro avviso, come questo governo sia nemico della scuola – ma pensiamo che ci si debba chiedere se non stia, in questo essere nemico della scuola, per i richiami fin qui fatti, anche la radice di una inimicizia verso la democrazia.
E’ una prospettiva inquietante.
La politica del governo Berlusconi prima ha stabilito i confini dell’intervento pubblico obbligando a drastici tagli nella scuola e nell’Università. E poi, con la controriforma Gelmini, ha cercato di dare copertura a quella che non è una razionalizzazione, ma la scelta di dequalificare, di paralizzare la scuola pubblica.
Trovo ad esempio curioso e molto grave – è solo un esempio, ma su un tema centrale – che tutte le dichiarazioni e gli atti del governo che si sono succeduti in questi mesi in merito ai tempi scuola, li considerino, li trattino come contenitori, mentre mai si parla della distribuzione delle materie all’interno di questi contenitori. La qualità dei risultati ottenuti fino ad ora dipende invece anche dalle scelte pedagogiche di metodo e di contenuto, che non debbono essere sottovalutate perché fondamentali nella formazione di base delle nuove generazioni.
Si pone quindi in primo piano la questione della qualità della didattica, poiché la drastica riduzione di tempo scuola non si può coniugare con tempi dell’apprendimento distesi, soprattutto nei primi anni scolastici, e penalizza l’apprendimento delle medesime competenze di base.

Difendere il sistema formativo dell’Emilia-Romagna, di Bologna

E’ particolarmente necessario, quindi, difendere il sistema formativo dell’Emilia-Romagna dagli effetti drammatici che queste scelte sono destinate a produrre.
Un altro aneddoto che qualcuno di voi ha vissuto: qualche giorno fa un lunghissimo striscione –che qualcuno ha definito, forse esagerando un poco, il più lungo striscione della storia delle manifestazioni civili a Bologna, ha percorso il centro della città.
Non ho avvertito, nel corso di quella manifestazioni, un clima di sola protesta, di non-proposta. Al contrario, mi pare che sia avvenuto in quella occasione, come in tante altre, la sensazione come se i tagli ciclopici della Gelmini avessero suscitato l’orgoglio di essere scuola fino in fondo, nei docenti ma ancor più nelle famiglie.
I genitori e le famiglie – almeno qualche genitore, qualche famiglia, molte – hanno compreso che a tutto si può porre rimedio; magari quando l’economia ripartirà – ma sarà durissimo, riuscire a risanare la grave ferita inferta alla migliore delle nostre scuole: la scuola primaria, la scuola per tutti i bambini… Una scuola non si inventa e non si improvvisa: con la scuola non si scherza! Bisognerebbe, quando gli affari vanno male, raddoppiarne i finanziamenti, e non tagliarli!
Per questo tanti bolognesi hanno cucito quel lenzuolo infinito degno – scusatemi la battuta – di una Penelope con le gambe così lunghe da poter capitanare una squadra di Watussi…. E per questo hanno sfidato un po’ di vento, con le mani all’altezza del petto, per stringere e sorreggere quella tela.
Noi eravamo tra loro: la protesta è stata larga e noi vogliamo raccoglierla e unirla alla proposta.
La partita è nazionale e proprio ieri Dario Franceschini ha lanciato – e Mariangela Bastico con lui – una petizione con la quale il PD chiede la immediata cancellazione di alcune fra le misure più gravi come quelle dei tagli finanziari e il maestro unico, l’orario a 24 ore settimanali e l’abolizione delle compresenze.
Su questi punti insisterà – ed è bene che insista – una campagna nazionale di questo Partito, che è già sul campo così come di altre forze che possono riflettere ed impegnarsi con noi.

Una vertenza per la scuola di Bologna.

Qui, oggi, dobbiamo insistere sull’aspetto più locale non perché Bologna possa avere problemi diversi dagli altri, ma perché dobbiamo vedere attraverso questo laboratorio – che questa volta è un laboratorio di rischio – come portare un contributo specifico sia con la protesta sia con l’azione di governo a questa battaglia più generale che si sta facendo.
Io parlerei, adoperando un termine che è già stato usato alla recente Conferenza per il miglioramento dell’offerta formativa, di costruire una vera e propria “Vertenza per la scuola di Bologna”, portata avanti insieme da Enti locali e cittadini.
E d’altra parte, come si potrebbe tacere, In un territorio dove, proprio mentre il Governo taglia, si registra una crescita costante della popolazione scolastica: 3mila ragazzi in più quest’anno rispetto al precedente e mai comunque una crescita di meno di 2 mila negli ultimi otto anni.
E poi non possiamo e non vogliamo nascondere le gravi preoccupazioni, non solo umane, non solo solidaristiche, ma anche riferibili alla qualità di tutta la scuola circa la drastica riduzione di posti di lavoro. Si parla – sulle cifre non azzardo, ma riprendo quelle sindacale e quelle degli enti locali – di circa 600 unità. Delicata è anche la situazione a livello di personale tecnico e ausiliario.

Noi vorremmo fare questa battaglia mettendo in campo anche idee nuove, o per lo meno raccogliere le migliori idee positive correnti e che devono avere ancora più gambe per correre più rapidamente.

Nell’ottica di un federalismo solidale

Ad esempio, se il tema è come rapportare la dimensione locale ad una nuova idea di Stato e quindi ad una battaglia nazionale, una idea su cui riflettere potrebbe essere questa: come potrebbe realizzarsi un vero federalismo solidale, a partire dalle scuole e a partire soprattutto dalla storia delle istituzioni bolognesi scolastiche e degli interventi degli enti locali per l’educazione, la formazione, l’istruzione, già così ricca di esperienze incentrate sulla dimensione del territorio.
Cominciamo a parlarne cercando però una nostra prospettiva: il federalismo non può essere una via di fuga dalle responsabilità pubbliche! O è il segno della cultura della libertà e dell’autogoverno, della sicurezza per tutti anche i più deboli, perché la Repubblica si divide per fare di più e meglio. Oppure è bene essere chiari: è pura reazione.

Sarebbe interessante, invece, mettere in campo idee per la perequazione delle possibilità fra territori forti e territori più deboli, che vedano in campo anche agenzie centrali dei territori forti. Ad esempio, su Bologna ed Emilia.
Mi permetto una proposta personale. Io da tempo penso ad una superagenzia per sussumere ed aiutare le zone deboli e gestire emergenze formative e culturali. Una specie di “Tennesse Valley” capace di agire su tutto il territorio nazionale proprio quando la Repubblica conquista nuove autonomie e nuove diversità.
Ma il punto, per gli enti locali, non è ipotizzare tante piccole Rome dotate di tanti piccoli viali Trastevere, ma prevedere una gestione del sistema che unifichi tutte le competenze oggi in capo agli enti locali, ridia loro ordine, aumenti l’integrazione, rispetti la libertà dell’insegnamento e la funzione delle scuole. Dia vita, in sostanza, ad un patto significativo e rilevante per la qualità, anche oggi, anche di fronte alla nuova e più pericolosa situazione.
Noi pensiamo che in questa dimensione si dislochi la rivendicazione di un forte ruolo della Regione e degli enti locali.

La legge Aprea: un decentramento proprietario

Vedete, non ci convince, ad esempio, ciò che viene dopo la Gelmini, la Legge Aprea. Certo, c’è un linguaggio diverso, però la sostanza sembra quella di essere una sorta di decentramento proprietario.
Ho detto prima: decentriamo. Leggiamo che addirittura gli enti locali, con le imprese, entrerebbero nei consigli di amministrazione di scuole diventate fondazioni! Ma si tratta di integrare o di imporre magari scelte didattiche, magari scelte culturali?

Le scuole ad altissimo rapporto con il lavoro del territorio

Certo, noi per primi abbiamo proposto anche in campagna elettorale – e qui riproponiamo – una cosa che ha aspetti di similitudine, ma per scuole ad altissima vocazionalità. E lo proponiamo da tempo, da parte di tutti i partiti da cui proveniamo: un’altissima vocazionalità territoriale richiede un maggiore rapporto scuola-impresa-territorio. Ed ecco, ad esempio, che per alcuni poli didattici attorno ad istituti tecnici di fortissima vocazione e socializzazione, può essere interessante dare più spazio alla dimensione della Fondazione per tutto ciò che può crescere attorno alla scuola. E vedere lì anche una diretta responsabilità delegata non solo ai rapporti tra l’assessorato e quella scuola da parte degli enti locali.
Ma è tutto un altro discorso ed è un discorso promotivo e non oppressivo. E io credo che le esperienze emiliane dovrebbero essere un punto di partenza proprio perché noi possiamo rivendicare qualche cosa che ha funzionato. E’ vero o no che il modello dell’integrazione tra la libertà delle scuole e una forte presenza di sostegno, anche di indirizzo dell’ente locale, ha prodotto risultati: dalla scuola dell’infanzia alla scuola di base, fino alla secondaria superiore?
Queste esperienze, con l’impegno diretto, anche sul piano del personale impiegato, non sono la zavorra, ma sono state il banco di prova soprattutto a Bologna, di tutte le principali innovazioni.
Da tempo, d’altra parte è emerso il problema: come ripensare, riqualificare, non solo ridurre le gestioni dirette in epoca di scarsità crescente di risorse. Anche su questo abbiamo una proposta.

Un progetto per l’intervento comunale a Bologna.
Una istituzione per le scuole dell’infanzia. Un progetto per il nuovo polo-Aldini.

Prevediamo, ad esempio, a Bologna come in altre realtà, istituzioni autonome cui dare vita per organizzare le risorse in capo agli enti locali. E ci proponiamo di attuare una programmazione che determini fin dall’inizio un obiettivo sostenibile, quante scuole dell’infanzia comunale tenere, quanti interventi diretti per l’handicap mantenere, da qui ad un intero ciclo di programmazione, per almeno un decennio, dunque. Un elemento di arrivo, dunque, da indicare subito, per poter sostenere ciò che si mantiene, come un laboratorio di qualità.
Siamo perplessi da una discussione, ma anche da una azione di governo, talvolta, che pur con tante qualità inizia ogni volta dalla difesa di tutto e poi alla fine rincorre disperatamente lo Stato perché assuma gestione di sempre più parti di quelle che erano le scuole degli enti locali.
E’ comprensibile, ma una buona programmazione richiede una operatività inversa. Mettere in luce dove ha un senso storico gestire ancora direttamente, dichiarare che cosa mantenere; creare strumenti di governo più forti per la gestione e attorno a questo costruire un progetto di sistema integrato di cui da tempo, nella pratica, si è dato vita.
Questo discorso è valido soprattutto per le scuole dell’infanzia. Ma in qualche modo – e qui, pur con tanta difficoltà, qualcosa si è fatto di significativo – anche per i poli polifunzionali tecnici: a Bologna le Aldini-Valeriani-Sirani.
Il Comune ha bussato a tutte le porte, ma nessuno ha risposto. Questi imprenditori che scendono in campo proponendosi di fare di fare i sindaci, in quel momento hanno tenuto il portafoglio chiuso! Forse interessa di più che si apra il portafoglio del pubblico, per incrementare qualche iniziativa privata, piuttosto che aprire il proprio!
Ecco, mi chiedo: se ci fosse stato attorno alle Aldini qualche cosa di simile a quello che è avvenuto intorno alla riqualificazione del patrimonio GD, in questi giorni, che cosa poteva accadere? Forse qualcosa di ancora più avanzato di quanto abbiamo realizzato, con l’assunzione da parte dello Stato degli Istituti scolastici, ed il mantenimento di una serie di servizi formativi e di orientamento in capo all’Ente Locale.
Ma certo la scelta è stata interessante, non solo necessaria, sic stantibus rebus.
La scelta, noi così la intendiamo, di mantenere una poliedricità di interventi intorno ad un polo scolastico che veniva riassunto dalla rete delle scuole pubbliche.
Adesso si tratta di sviluppare la progettualità dei servizi formativi Aldini, fare veramente un polo di rinnovata qualità ed utilità, con la piena collaborazione con la Scuola vera e propria, statale ma-ricordiamolo sempre-dotata di autonomia, primo interlocutore dell’Ente Locale e del territorio.
Bisogna accelerare, ora, proprio nel senso che prima richiamavo.

Siamo qui partiti richiamando il tema degli interventi diretti del Comune di Bologna.
Ma se l’ottica è il progetto, se la base è la libertà di insegnamento e di fare scuola delle istituzioni autome, tali sono le scuole pubbliche che un tempo dicevamo solo “statali” il punto di partenza deve essere : riconoscere negli istituti i primi interlocutori, non fare più nemmeno un progetto- da parte dell’Ente locale- senza una compartecipazione delle scuole, dall’idea, alle risorse umane e logistiche.

Un grande accordo strategico Enti Locali-Scuole, dagli edifici ai contenuti

Ci vorrebbe quindi un grande accordo strategico Enti Locali-Scuole, quasi un piano “regolatore” della rete educativa, dagli edifici ai contenuti, pensato e realizzato insieme.
Troverete nei contributi delle proposte prodotte da amici del Forum delle scuole*.
Partiamo da punti di riferimento valoriali: il diritto alla formazione, la famiglia, il ruolo della scuola pubblica, l’integrazione sociale e culturale, l’accesso al sapere.
Ma poi azzardiamo delle proposte sullo specifico. Ho detto già un po’ del rapporto con le istituzioni; ho detto della scuola materna. Del metodo e degli strumenti per governare, programmando, il tema complesso delle gestioni dirette del Comune.

Gli interventi scuola-cultura-territorio

Voglio ancora dire una cose, l’una sugli interventi scuola-territorio. Qui abbiamo colui che dette il via, con una sistematizzazione teorica, il professor Franco Frabboni che ringrazio di essere qui con noi. Sono passati molti anni e non è facile mantenere la rete delle aule didattiche decentrate, un impegno diretto su tante realtà, anche perché sono cresciute altre esperienze, di altra provenienza.
Guardate, io per convocare questa nostra iniziativa mi sono basato su un elenco di servizi comunali e di associazioni partecipanti ad un bel convegno promosso dall’assessore Virgilio. Non perché non le conoscessi ma perché chiamare a raccolta queste realtà, vuol dire fare i conti con un numero di realtà che supera il centinaio.
Mi chiedo: in quale altra città, per fare una locandina di una iniziativa simile, occorre riempire tutto lo spazio di una A3 per metterci tutte le firme?
Cioè, in quale altra realtà si è fatta crescere e si è mantenuta una rete così fitta di istituzioni culturali così aperte alla fruizione didattica e aperte alle scuole? Questo è un punto centrale: troviamo le forme più adatte, ma guai se diventasse una questione di politica del personale.
Questo è un punto essenziale, attorno al quale fare ancora più emergere, qualificare, quel ruolo autonomo e rispettoso della autonomia delle scuole che, appunto, vede l’ Ente Locale fornire ad esse un servizio e investire per la qualità di tutta l’attività didattica, di tutte le scuole.
Ho detto, seppur poco, sui vari ordini di scuola. Ma voglio dirvi davvero che in ogni parte troverete, nel documento della Conferenza per l’offerta formativa, tanti spunti che permettono di vedere chiaramente cosa sta accadendo. Che cosa accade sulle iscrizioni, ad esempio. La vera e propria truffa: scegliete e – vorrei dire – non vi sarà dato!
E anche i rischi in settori di scuole di cui si parla poco. Ma non sta a me sviluppare compiutamente tutti gli argomenti, li troverete nei contributi.
Voglio finire con un’affermazione: sembra forse poca cosa, ma difendere la scuola pubblica chiamando a raccolta anche altri, anche chi vuole fare impresa, purché sia un intraprendere sano, difendere la scuola pubblica mantenendo un profilo alto anche quando le risorse sono poche e quindi riprogrammando e scegliendo è difficile e necessario.
Difendere la scuola pubblica come priorità politica: qui c’è ancora moltissimo da fare, nonostante – è curioso- grande parte del personale politico, certo quello miglior, provenga dalla scuola. E’ importante, ecco, che si recuperi il senso di una priorità.
Mi chiedo se almeno il 5% delle dichiarazioni polemiche che abbiamo visto nel nostro campo negli ultimi sei mesi, fosse stato impiegato a propagandare e magari anche a riflettere sulle realizzazioni e i punti critici di un così vasto intervento per la scuola che le nostre istituzioni fanno, ancora oggi, forse saremmo più contenti di noi.
Guardate: siamo coscienti che ancora, pur con mille distinguo, il mondo della scuola, gli insegnanti e anche tante famiglie, ma anche chi ci critica perché ci vorrebbe più sulla barricata, oppure invece chi dice “no, attenzione perché la barricata non reggerà”; insomma, tutto l’arcipelago dell’educazione militante, dimostra un’ attenzione e una capacità propositiva che resta molto alta.
Noi esercitiamo una professione intellettuale ma siamo innanzitutto cittadini che vogliono far discutere e non possiamo rispondere per tutto il Partito; possiamo però creare momenti di approfondimento che sollecitino una voce più chiara e costante. Ripeto, all’altezza anche di ciò che già si fa.
In sostanza, ogni tanto ci chiediamo: ne vale la pena? Pensiamo di sì. Io una volta terminavo spesso con una nota frase di don Milani che implica una parolaccia. Oggi si potrebbe lasciare stare, essere più pudibondi, ma tanti me l’hanno sentita dire spesso: la frase famosissima di “Lettere ad una professoressa”.
Se non sappiamo se la scuola sia sempre, ed in ogni sua espressione, meglio di quella cosa lì, come diceva Don Milani, certo vale la pena impegnarsi per la scuola.
Noi qui siamo per la scuola, per la scuola sempre.





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