sabato 28 febbraio 2009

VIAGGIO NELLA RISERVA INDIANA

VIAGGIO NELLA RISERVA INDIANA
DI ROBERTO DI CARO

L'Espresso

"Via tutti! A cominciare da quelle due figure emblematiche della degenerazione del partito che sono Nicola Latorre e Antonio Bassolino, Se ne devono andare prima del congresso, o dopo sarà una carneficina...». Nel vecchio Pci lo avrebbero deferito alla Commissione di controllo, Stefano Raffa, pilastro dello storico Circolo Benassi al quartiere Savena di Bologna. Invece lo applaude, questa platea di 120 militanti di quattro sezioni Pd, pardon circoli, ex Ds, ex Margherita, ex niente perché all'impegno sono arrivati con le primarie per Veltroni. Lunedì, a bocce ferme dopo che Dario Franceschini è diventato il segretario di tutti loro, discutono senza sconti su un futuro che due giorni prima ha rischiatodi esplodere per beghe di correnti e conventicole, rivalità personali, programmatiche indecisioni, letali silenzi su qualunque scelta non trovasse d'accordo Rutelli e D'Atema, Beppino Englaro e il cilicio della Binetti. Nessuno ne poteva più dei "ma anche" di Veltroni: neppure quelli (giusto un paio) che stasera gli rendono l'onore delle armi, anche se non se lo aspettavano così fragilino da mollare alla prima botta. A questa base oscillante tra la voglia di sparare sul quartier generale e l'orgoglioso colpo d'ala in vista delle comunali ed europee di giugno, che cosa mai risponderà il 42enne segretario provinciale Andrea De Maria, cui tocca chiudere la serata? Torniamo indietro di un paio di giorni.Il nostro piccolo viaggio nella riserva indiana del Pd, tra i mal di pancia dei militanti in Emilia e Toscana, era cominciato in modo deprimente al Circolo Arci Bellaria, la sera in cui i pullman dei delegati rientravano dall'assemblea nazionale. Negli scaffali al bar, "II Capitale" e tutta la "Storia del pensiero socialista" del Cole, ai tavoli 300 persone a giocare a carte, i fumatori all'aperto a disquisire di politica: «Con le privatizzazioni ci siamo buttati in pasto agli avvoltoi», ce l'ha il magazziniere; «a Bologna son già tutti cassintegrati», dice il precario di una Coop; «è troppo tardi per tutto», chiude annichililo l'artigiano. La sintesi del dramma in corso la fa un tipo che sentenzia: "II cavallo è morto domani mattina». Ovvero il partito è già finito, da qui al congresso di ottobre si sotterreranno i resti. Che il glorioso circolo non sia piùlo stesso? E la vecchia base? «Ah, il vizio di dire "la base"! lo, onesta riformista, mica una gran rivoluzionaria, mi sento parte di un progetto!», attacca alla cucina la signora Letizia. E suona:«Con quel che combinano "i vertici", son mica meglio di me». Quanto al Circolo, «qua dentro c'è un razzismo da far paura, l'estraneità alla politica è generale, la mentalità berlusconiana è penetrata dappertutto». Non può essere tutto così nero, non è mica 1'8 settembre. Sembrava, ma poi è arrivato Franceschini. Le questioni di linea, le scelte in bioetica e riforma della giustizia, le alleanze, che fare con i brandelli di Rifondazione, come evitare di farsi prosciugare da Di Pietro, è ancora tutto da decidere; ma intanto ci sono le elezioni. E a Bologna i leader incitano a uno scatto d'orgoglio, siamo la Stai ingrado del partito,Bocciatura WebAppena diventato segretario, Dano Franceschini ha contrapposto la «gente vera» (che lo ha votato alla Fiera di Roma) a quella «virtuale», cioè i contestatori dell'establishment che si organizzano e confrontano soprattutto attraverso Internet e i blog. La battuta del neoleader ha fatto innervosire "quelli della Rete", ma non c'è dubbio che i militanti democratici più attenti al Web (quasi tutti sotto i quarant'anni e favorevoli alle primarie) sabato scorso abbiano subito una battuta d'arresto. A spiegarne le dinamiche è stato sul suo blog Francesco Costa, tra i fondatori del movimento dei Mille:«Ci eravamo dimenticati delle modalità con cui è stata eletta quell'assemblea, con le liste bloccate redatte da Goffredo Bottini e pochi altri maggiorenti. Ci eravamo dimenticati che l'assemblea costituente rappresentava tra gli altri tutti gli eletti del partito: parlamentari, consiglieri regionali e comunali, etc. Ch si sarebbe catapultato a Roma convocato appena due giorni prima? Chi avrebbe voluto, chi avrebbe potuto7 Sono arrivai in 1.200 sui 2.800 totali, ed erano in assoluto la platea più disciplinata e narcotizzata che io abbia mai visto». Ciò nonostante, nota Costa, alla fine «ci sono state cento astensioni, che la Finocchiaro non si è nemmeno degnata di citare».La rabbia dei giovani piddì si è così sfogata di nuovo in Rete: contro «cuordileone Bersani» (che un mese fa si era candidato per la segreteria ma poi si è allineato su Franceschini), contro Finocchiaro e Soro «intenti a crearsi un'opposizione inesistente aiutando la raccolta di firme per Parisi» (Ivan Scalfarotto), contro Franceschin medesimo che alla fine ha vaneggiato sul «ritorno dell'ottimismo» (e Luca Sofn ha ironizzato: «Vado a fare i caroselli»). E uno specchio di questi umori sono stati proprio i commenti al blog di Sofn (Wittgenstein.it), dove si è letto di tutto:«Hanno sparso del bromuro tramite condizionatori, hanno drogato il buffet?»; «Ho pensato a Gene Wilder e Marty Feldman che scavano in una fossa in "Frankenstein junior"»; « Secondo me non sono cattivi. Sono solo fuori dal mondo. Altrimenti non potrebbero farsi del male in questa maniera. Ormai ci sono solo due correnti:la dirigenza e la base». «Una messa sempre uguale detta dai soliti dinosauri». «Ora con che faccia sgrido quelli che vogliono votare Di Pietro?». E così via. Ma la vittoria dell'establishment alla Fiera di Roma non ha provocato solo mal di pancia. Qualcuno, come il giovane milanese Giuseppe Civati, ha deciso di riprovarci con una «chiamata a raccolta» sul suo blog di chi vuole partecipare alla vita del Pd per cambiarlo radicalmente. Civati, per capirci, è quello che nel sondaggio on line de "Lespresso" (oltre 10 mila votanti) si sta giocando il primo posto con Prodi alla domanda "chi vuoi come leader del Pd", mentre Franceschini balla tra l'ultimo e il penultimo posto. Saranno "gente virtuale", ma di qui a ottobre la nomenclatura dovrà vedersela anche con loro. A. G.tere in tiro un partito battuto e morti ficaio, inseguito dal l'ala della sconfitta, stiracchia-^ to dalle tensioni del partito del Nord che £ non ne può più dell'oligarchia romana, la-5_ cerato dalle discussioni sull'etica e il testa-iti.; mento biologico. Hppure nello stesso tem-5 e pò è necessario delineare alcune scelte stra-^,- tegiche, da mettere in campo alle europee e ^ s nelle importanti elezioni locali di giugno. Ss Su questo terreno la sofferenza è garantita.Ancora .Macaluso: «A questo punto c'è da chiarire se il Pd mantiene quella che e stata definita "vocazione maggioritaria" o seoc-corre costruire un sistema di alleanze, e con chi». Purtroppo non e così semplice. Il Pde reduce dall'«errore gravissimo» (definizione di Parisi) commesso con la nuova legge per le europee, sbarramento al 4 per cento. Una decisione maturata poco prima delle dimissioni di Veltroni, e che oggi, in una situazione più fluida, di fronte a opzioni aperte sul fronte delle coalizioni possibili, può destare rimpianti. ".M a su questo fronte», dice Hnrico Letta, «Franceschinisiègia espresso nel suo discorso di investitura:l'arco del possibile va dall'Udc a quella parte di sinistra radicale che accetta di mettersi alla prova del governo». H quindi quale il punto di leva su cui agi rè? «Fran-ceschini ha il compito di rovesciare il »•col candidato sindaco Flavio Delbono, con tutta la passione che serve! «Sì, beh, Delbono, un po' freddino... A Teatridivita ci ha appena spiegato che la cultura deve far incassare soldi, comei film di Totò pagavano quelli di Visconti, mah...», chiosa Gregorio Scalise, poeta. Gruppo 63, un pezzo di storia dell'avanguardia, vedere Garzantina, che delle primarie Pd non se n'è persa una.«Mi riesce più semplice parlare alla testa che al cuore: sono ordinario di Economia e fino all'altroieri vicepresidente della Regione, a 49 anni non posso mica sostituirmi il Dna», risponde Delbono quando lo incontriamo, appena sceso dal palco del Carnevale dov'era già accanto al vescovo ausiliario: come chi il sindaco conta di diventarlo al primo turno, contro Guazzaloca e l'ex patron del Bologna calcio Cazzola. Mai avuto incarichi di partito, Delbono, nato con l'Asinelio di Prodi e poi Margherita; ne risulta frequentasse riunioni e assemblee. La base, per lui, è una scoperta diquesti mesi (e viceversa): in forme anche fisiche, dice, "senti la voglia di sfogarsi, toccarti, parlare». Sarà il consenso liquido, alla Bauman, un po' evanescente. «No, conto su un partito solido». Intanto, però, Pd e Comitato elettorale viaggeranno distinti e autonomi. E sul suo primo manifesto il simbolo non c'è. Altrove, nella riserva tosco-emiliana, i rapporti tra il Pd e il suo candidato filano assai meno lisci che a Bologna. Il treno regionale per Prato è pieno di cinesi, in città gli immigrati sono il 12 per cento e i tré quinti delle nascite. Crisi nera, il tessile a picco. E un Pd che prima si taglia la testa da solo e poi se la fa tagliare di nuovo dalla base. Ambra Giorgi, consigliera regionale, e Virgilio Chiani, coordinatore del circolo Pd di Paperino (Prato sud, il quartiere del film di Nuli) la raccontano così. C'erano »Letta: "Dario deve puntare sui territori e cancellare rimpronla romana del partito"rapporto fra Roma e i territori. Deve de-ro-manizzare il Pel». Il tentativo di rivitalizzare la segreteria con le nomine di leader regionali come Chiampari-no ed Hrrani va in questa dirczione. Ma si profila un problema in più. Qualcuno sostiene infatti che si sta profilando una crisi acuta della classe politica diessina, anche nelle regioni rosse, testimoniato dall'emergere irresistibile, a Firenze, del boyscout Matteo Renzi, un tipetto talmente evangelico che non ha remore a definire Franceschini «il vicedisastro»; a Bologna e candidato sindaco il centrista e pro-diano Flavio Delbono, a Ferrara un altro ex Margherita, Tiziano Tagliani, genero del-l'andreottiano di lungo corso Nino Cristo-fori, ha vinto la corsa per la successione al ds Gaetano Satenale. A Fori! e diventato sindaco un ex repubblicano, lo storico Roberto Balzani, alla Provincia di Bologna c'è la cattolica Beatrice d'aghetti. A sentire il politologo Paolo Pombeni, editorialista del "Messaggero" e delegato all'assemblea del Pd, c'è il rischio di «un M in salsa De», con possibili esiti di disaffezione della base, con spaccature e diaspora: «Benché la componente centrista nel Pd sia minoritaria, tutto ciò che viene dalle area ex de, di fronte aiproblemi della macchina ex comunista, risulta alla fine più presentabile agli elettori ». Per un ex popolare e teorico della l)c come Marco Pollini, Franceschini ha più chance di quante a priori molti non fossero disposti a riconoscergli: «Ma il primo problema e cercare di dimostrare che il suo Pd non sarà un veltronismo senza Veltroni. Ho l'impressione che lui non creda molto nell'ipotesi Udc e farà il possibile per accentuare una venatura di sinistra, scegliendo fior da fiore i possibili alleati nell'ex Arcobaleno». Una strategia piuttosto dalemiana. «Sì, ma prima di pensare alle alleanze Franceschini dovrà affrontare le elezioni, e di qui a giugno dovrà inventarsi una narrazione politica. Finora non ha sbagliato. Ma nelle prossime settimane occorrerà mettere le mani nel partito, cioè nell'organizzazione». Equesto e nelle corde di un politico «con la faccetta da bravo ragazzo» (Franco Marini)? Sorride, Pollini: «Se uno gli cita l'assessore alla sanità della Regione Campania, Angelo Montemarano, Pranceschini sa chi e, e che e l'uomo di maggiore potere a Napoli dopo Bassolino». Mentre Veltroni... «A citargli Montemarano, Veltroni spalancava gli occhi stupefatto». •un sindaco e un presidente di Provincia al primo mandato. Un discutibile sondaggio li spinge a non ripresentarsi, architettato in riunioni non ufficiali di parte della nomenkiatura, gran manovratore Antonello Giacomelli, deputato ex Margherita, presidente nazionale della corrente fioroniana Quarta fase, «che ora nelle foto pare l'ombra di Franceschini».Giacomelli lancia Abati, ex Pci, Ambra e altri ripescano Massimo Carlesi, ex Ds dei cristiano-sociali, ex assessore tornato a fare il direttore di banca. Alle primarie vince lui 55 a 42. E le 30 persone del suo comitato elettorale che incontriamo lunedì pomeriggio sono di nuovo galvanizzate dalla politica. Irritate da «un apparato schiacciato sulle sue fortune» (Francesco), da «Veltroni e D'AIema che si fanno la guerra da quando avevano i calzoni corti, se ne andassero a casa» (Ambra), non suggestionabili da «quei giovani che il partito ha tirato su maluccio, già così burocrati» (Patrizia). E Franceschini? «Speriamo si renda conto di chi ha vicino...», dice Paola pensando al citato Giacomelli. Toscanacci, vogliono toccare con mano. Treno, cinesi, torniamo a Bologna, è la sera dell'attivo al Bellaria. Sei minuti a testa, intervengonoper due ore e mezzo. Cacciare la Binetti che rimpiange il Medioevo, che c'entriamo noi con l'Opus Dei. Ma Rutelli è peggio, lui lo fa per calcolo (Gentile, ex Margherita). Il bonus è finito, è l'ultima chance (Zenoni, segretario di circolo). Alleanze, aprirsi di nuovo a sinistra, e vera opposizione, non può essere costituente una legislatura in cui Berlusconi domina Parlamento e media (il mitico Davide Ferrari, inventore con Paolo Volponi e da 25 anni direttore della Casa dei pensieri). Appelli all'organizazzione, i circoli devono funzionare, partito liquido un como, noi le tessere le facciamo, com'è che in altre regioni restano in cantina? Tornare ai comizi in piazza, e togliere il microfono a chi, presa una decisione, va a spiattellare il suo dissenso ai giornali (Marchigiani, ex Ds): «Ma non si chiamava centralismo democratico?»,bisbiglia sorridendo in sala la mamma del segretario provinciale De Maria che sta sul palco. Ecco, alla fine tocca a lui. Vogliono risposte, cosa replicherà? «La fase storica del mondo ci dice che è il tempo del Pd... La crisi dei mercati finanziari... Il pacchetto anticrisi di Sarkozy... I precari... Gli ammortizzatori sociali... La rete di volontariato...». Scruta l'orologio. «Guardiamo a una fase storica lunga.... Decidere anche a maggioranza...». Ora parla svelto. «La laicità... Il Manifesto dei valori...». Dieci minuti, questa è la sede del quartiere, a mezzanotte scatta l'allarme automatico. «Vincere a Bologna è responsabilità nazionale...». All'ultimo minuto, come la scarpina perduta, «l'innovativa proposta dei Bot comunali». Poi, tutti fuori di corsa. Prima che anche il Pd si trasformi di nuovo in zucca.

domenica 22 febbraio 2009

Diritti umani, nella cultura, nella scienza, nella letteratura.

Associazione Culturale "Lo Specchio di Alice"
Affiliata all'Universita' "Primo Levi"

CONVEGNO
Diritti umani.
La forza della parola e dell'immagine



22 Febbraio 2009
Sala del Consiglio del Quartiere Santo Stefano
Via S. Stefano, 119
Apertura lavori: ore 9,30


Relazioni:
Giuseppina Rossitto
Il diritto dell'io

Elisabetta Perazzo
"....fondata sul lavoro"

Giancarlo Pasquini
Mercato, competizione e diritti umani

Carlo Flamigni
Il diritto di essere scettici

Giuseppe Giliberti
Il linguaggio dei diritti

Davide Ferrari
Il diritto della poesia.
Impegno civile e liberta'creativa. Dante, Foscolo, Montale

INVITO

Poesia e impegno civile. Dante, Foscolo, Montale.

Poesia e impegno civile. Dante, Foscolo, Montale.

Esiste una poesia impegnata a difesa e richiesta dei diritti dell'uomo e della persona? E' arte vera?
Oggi non pochi risponderebbero subito di no ed anzi negherebbero in radice persino l'esigenza di porsi il quesito.

Inizio a tentare una risposta differente con una citazione che può apparire bizzarra.


Quella di Mao Ze Dong, il “Chairman Mao” della Rivoluzione Culturale. Oggi, almeno nel nostro emisfero è totalmente dimenticato, ma i suoi discorsi, e le loro trascrizioni nelle raccolte di Opere, un tempo erano famosissimi.

Guai ai vinti, si sa!

Eppure, dato l'argomento, ancora ci possono venire in mente con qualche utilità, le sue affermazioni alla Conferenza di Yenan del 1942 sull'arte e la letteratura.

Parlava, Mao, esattamente dell'argomento cui è dedicato il presente numero della nostra rivista; “il rapporto fra la cultura-nel nostro caso la letteratura- e le forme dell'impegno politico e civile".

Ci sono due aspetti, in ogni opera d'arte, quello culturale- diceva Mao- il valore artistico intrinseco, e l'orientamento politico dell'autore e dell'opera. Ogni classe sociale, ogni potere diremmo qui- privilegia- a suo dire- in ultima istanza questo secondo aspetto.

A ben guardare non aveva tutti i torti.

Come spiegare altrimenti il silenzio nel quale sono stati fatti cadere gli autori “politicizzati” ed anche le opere “politicizzate” di autori più poliedrici, dopo il crollo degli another countries dell'Est?

Non è accaduto solo ai comunisti, come Paul Eluard, il Quasimodo del dopoguerra e persino Neruda, ad esempio, ma anche agli impegnati dell'antichità e, nel mondo della letteratura moderna, ad ogni scrittura critica, anche la più disincantata e liberale, contenuta nelle opere di tanti fra i maggiori.

Una vera e propria damnatio memoriae ha velato gran parte della storia della cultura.

Sconfitto l'orizzonte del cambiamento, sia pure malato come ogni utopia, l'egemonia del potere esistente ha provveduto, ancora sta provvedendo , a cancellare persino il ricordo di intere biblioteche.

Ci si deve opporre a questo dimenticare? E come si può, con quali strumenti?

La risposta alla prima domanda è certamente, almeno a mio parere, positiva.

Perdere la memoria è tipico di chi invecchia, di chi non ha futuro. Inoltre è il presente -così insidiato dal cinismo ed il disprezzo verso il valore della vita umana- a chiamarci a riconsiderare le lezioni dell'arte engagée.

Come farlo dunque? Se non i medesimi ideali sembrano mutate radicalmente le concezioni del mondo e certo mutati sono i contesti, le forme del vivere.

Non si può leggere al presente il mandato politico della letteratura che abbiamo alle spalle. Non solo quella che ci parla dalla polvere dei secoli ma anche quella del vicinissimo '900.

Rileggiamo ancora Mao: se due sono i criteri, quello del valore artistico e quello dell'intenzione politica, se pure il primato è della seconda, senza il primo non solo non c'è arte vera ma propaganda, e persino c'è efficacia politica, civile dell'opera letteraria viene meno, anche se fosse del tutto rivolta alla denuncia e alla rivendicazione.

E' quindi la forza artistica ad ancorare il peso di un'opera, a costituirne la caratura.

Quindi, per tornare alla nostra domanda, solo riandando a quanto di più significativo la creatività poetica ha saputo realizzare sarà possibile rivivificarne il significato e la forza politica.

Propongo rapidissimamente tre esempi, e tanto diversi fra loro: Dante, Foscolo, Montale

Dante, innanzitutto. E' ancora sufficientemente noto il ruolo che la sua suprema poesia volgare, agli inizi della nostra letteratura, ha avuto nel fondare la lingua d'Italia e l'idea stessa di una unica nazione.

Ma quando si studia il Dante politico ci si imbatte in sillogi che ci presentano la sua inattualità, come già certificata all'epoca in cui visse, il suo alto-medievale ancoraggio all'idea di un Impero universale.

In realtà ciò che piu' conta è leggere Dante come figlio di un epoca di relativa libertà, dove ancora presenti sono i diritti e l'agire politico di cittadinanza, nei Comuni, un'età ultima ed aggredita, prima del progressivo naufragio d'Italia nel servaggio e nella lateralità rispetto alle grandi correnti della storia europea.

Qui la radice della sua indimenticabile affermazione sul destino dell'uomo, compiuto solo tendendo a virtù e conoscenza.

A virtu' si intenda, non solo a libera conoscenza.

Virtù, probità personale e pubblica.

Il mito di Ulisse in Dante è proseguito e rovesciato, è noto.

Non è più il ritorno ad Itaca il punto, ma la ripartenza e la sfida ai confini della terra. La sconfitta dell'eroe non conduce il poeta a negarne l'impossibile ansia di libertà.

Anzi proprio quando è nella sconfitta di fronte all'inconoscibile Ulisse, l'uomo, scopre nel tentare di andare oltre prigioni e confini, religioni e oceani, il proprio essere “umano”.

Altrimenti a cosa servirebbe l'impronta di Dio, essere fatti a sua immagine e somiglianza.

E' forse la più alta rivendicazione del primario diritto, quello ad essere liberi e quindi in perpetuo viaggio di avanzamento, anche se temerario e senza vittoria.

Dante politico, uomo di parte, è poeta eterno non "nonostante" la sua scelta di battaglia e di esilio, non mercè i recuperati orari dell'ozio, dopo la stagione dei combattimenti, ma "per" la propria altissima levatura intellettuale che è tutt'uno con l'interesse per l'uomo, la storia, il mondo.

Scorriamo un calendario di secoli.

In Italia viene l'ora di nuova libertà. Arrivano i colori bianco rosso e blu dell'esercito rivoluzionario e popolare della Francia.

Foscolo è fra i tanti che partecipano all'ora. Con la poesia, la polemica la partecipazione diretta agli eventi di guerra.

Di Ugo Foscolo un tempo si studiava, oggi non so, l'amor di patria, l'adesione a Napoleone e la cocente disillusione “dopo Campoformio”, come ridirà Roberto Roversi.

Anche qui la storia di una sconfitta. Ancora più nota era la sua difesa del retaggio cristiano della tradizione di seppellire i morti senza anonimato. C'è una vicinanza con il Parini, anch'egli democratico, che protesta, contro i furori dell'illuminismo di potere, difendendo la presenza del Crocifisso negli uffici (“Se non entra il cittadino Cristo, non entra nemmeno il cittadino Parini”).

Il carme dei “Sepolcri” è stato a lungo una pietra miliare degli studi scolastici per il suo carattere di supposta, ancorchè indubbiamente giustificata, “reazione” al moderno del suo tempo.

Leggiamo meglio. Il carattere di priorità dell'impegno, così tipico di Foscolo, non viene mai meno.

Fra le motivazioni della reazione sono le “egregie cose” alle quali inducono le “urne de'forti”, alle quali va' data collocazione e riconoscibilità imperitura.

Cose egregie, testimonianze nella vita pubblica, fino all'eroismo.

Motivazione forse debole, forse addirittura insincera, più diretta e lirica era la motivazione della difesa dell'integrità del rito della morte, per un grande poeta.

Indicativa tuttavia di una più complessa identità politico – culturale del poeta, tipicamente italiana, e forse più forte, non più debole del negazionismo francese.

Si tratta per Foscolo di trovare una via alla rivoluzione democratica che sia erede della millenaria cultura umanista, che trovi nel classicismo non divinità "false e bugiarde" risuscitate in opposizione alle Chiese, ma la forza imperitura di invarianti culturali capaci di dare sostanza alla vita della nazione risvegliata a libertà, di fondarla più solidamente.

A ben vedere un tema mai più dismesso dalla più alta ricerca culturale italiana, che sarà ripreso con ben altra consapevolezza teorica dal Cuoco e poi nel '900 da Gramsci. Ma a ognuno il suo mestiere e quello di Foscolo era scrivere versi.

La vicenda italiana giunse a nuova storia. Finalmente divenne Stato. Ma il nazionalismo democratico trasmutò ben presto in volontà di potenza. Nel generale crollo delle democrazie parlamentari, dopo la carneficina del '14-'18, il nostro paese, che spesso si trova ad essere laboratorio dell'abisso, creò, dalla frustrazione e dal rovesciamento del proprio motivo nazionale, un nuovo totalitarismo, brutale e negatore della libertà, innanzitutto della libertà della cultura.

Il fascismo e poi il nazismo non ebbero avversari sufficenti, neanche fra gli intellettuali.

Ma certo non ne mancarono.

Per la forza di una scelta di militanza diretta e generosa, i più, per la dirittura morale di una semplice, coraggiosa, non adesione, alcuni.

Un ritiro dall'orrore che era già tanto.

Eugenio Montale ha tracciato con estrema lucidità, in “Piccolo testamento”, in "Primavera hitleriana" e in altri testi, i confini della sua scelta.

Una laicità assoluta, rifiuto di ruoli clericali, "di chiesa e di officina", per il poeta.

Ma una laicità partecipe fino in fondo del dramma dell'uomo, della sua finitezza che nessun trascendimento può oscurare.

Quanti sedicenti laici, bianchi come sepolcri, hanno nella nostra storia concepito la propria autolimitazione come fuga dal dovere della testimonianza.

Non Montale. Il suo richiamo più forte, già nella giovanile esperienza dell'ambiente gobettiamo: “solo una cosa sappiamo: cio' che non siamo, cio' che non vogliamo” lo indica con chiarezza.

Non è poco, e' moltissimo segnare dove non si vuole andare, quando si vive nel totalitarismo. La cifra del suo “non essere” è il rifiuto del compromesso con la brutalità del fascismo.

Cercare un buco nella rete della storia, come mirabilmente scrive Montale è insieme impossibile, allora, e necessario all'uomo per essere tale.

Come fu per l' Ulisse di Dante tentare il mare oltre le colonne d'Ercole.

La scelta della non adesione al regime, ai regimi, è adesione, invece, alle ragioni dell'uomo e alla sua tragedia. La poetica che ne deriva è una radicale alternativa ad ogni prevalere della retorica.

Noi, che pure siamo nel tempo delle parole moltiplicate e impotenti, possiamo riaffermare il profondo legame fra poesia e civiltà seguendo orme che non smarriscono il segno.

Così con Dante, con Foscolo, con il vicino e così esigente Montale. Il Montale che ci obbliga, per essere dei suoi , il simile che riconosce il simile, ancora a non aderire. Impegno difficilissimo in un'epoca in cui l'adesione richiesta dal potere è quella all'ideologia del chiaroscuro, di una compartecipazione a tutto anche all'orrore di mille "guerre giuste".

Davide Ferrari

Dalla relazione "I diritti della poesia.Letteratura ed impegno civile", tenuta al convegno su: "I diritti umani".Bologna, 22 Febbraio 2009

sabato 21 febbraio 2009

Giacomo, vorrei tornare indietro e tifarti ancora. Di più.

"Chi ha giocato Italia-Corea non gioca più". Avevo 8 anni nel '66, quando si compì il disastro. Era estate. La mia famiglia mi aveva portato a Tellaro, splendida, che scende al mare con vicoli e storia dura di porto e pescatori. Giocavo e correvo tutto il giorno.Come non ho più fatto.
Il 19 Luglio, alla vittoria del bravo Pak Doo Ik, alla nostra sconfitta, si fece un grande silenzio. Nei bar durò giorni. Abbassarono le voci i tifosi ed anche le donne. Perfino i ragazzini come me capirono che era successo qualcosa che avremmo ricordato. Questo mi torna in mente,oggi, e poco altro. E poi quella frase. Non so dire chi la pronunciò, qualche tempo dopo. Forse Fulvio Bernardini, oppure Herrera. O Gianni Brera. In realtà ad altri fu perdonato, ad Albertosi, a Sandro Mazzola. Bulgarelli non ebbe altre occasioni. Il Bologna aveva vinto il suo scudetto due anni prima. Nella Nazionale portata in Inghilterra da Edmondo Fabbri i rossoblu' erano importanti. E importantissimo era Giacomo Bulgarelli. Si infortuno'. Fu innocente. Ma non giocò mai più in Nazionale."Perhaps the biggest upset ever in the World Cup History !" E' il commento inglese ad un video, su quella partita, su YouTube.
"Forse il più grande ribaltamento della storia della Coppa del Mondo". Un ribaltamento, un evento che rovescia la realtà, l'impossibile che accade. E' questo il senso di "upset" in questa scritta. E Bulgarelli era il capo di quella Nazionale. Al suo talento, oscurato dalla mala sorte, si avvicendarono altri leaders, altre glorie. A rendere ancor più insuperabile il suo esilio concorse la Nazionale del Messico, quasi vincente, di quattro anni dopo. Alla storia,come eroi di tutti, passarono Rivera, Mazzola, Riva, non Bulgarelli.
Eppure era forte. Quando ci ha lasciato, qualche giorno fa, la notizia è stata registrata da quasi tutta la grande stampa. Si sono aperte le porte del confino in questa sua Bologna, il piccolo regno che gli era rimasto, sempre. La sua fama è tornata ad allargarsi.
Il calcio italiano, ed anche la nostra società- o almeno chi la informa- si sono ricordati che Giacomo era un campione nazionale, una stella. Ancora una volta ai vivi non è data rivincita. La morte sola fa riiniziare la partita.
Davvero ci vorrebbe un'altra vita, dopo, e non per correre nei paradisi o fuggire per gli inferni. Ma per capire che ognuno è più di quello che gli altri gli dicono ogni giorno di essere. Vale per i grandi e per i piccolissimi, per tutti noi. Solo che, in morte dei grandi, tutti ce ne accorgiamo. Giacomo non sapevo bene chi eri nell'estate del '66 ma stavo con te. Vorrei tornare indietro per poterti tifare, ancora, di più. E così farti vincere.

"Il Bologna" Quotidiano Epolis
21 Febbraio 2009

domenica 15 febbraio 2009

Scuole Longhena e altre: da dove viene il disagio?

Dichiarazione di Davide Ferrari, presidente del Forum Scuola del Partito Democratico di Bologna:

“Il Ministro Gelmini interviene per reclamare a gran voce punizioni nei confronti di quegli insegnanti che hanno recentemente annunciato di non poter applicare, con varie motivazioni e con conseguenti varie decisioni, le recenti normative sul voto nelle scuole elementari.
La confusione e la conflittualità che si stanno determinando in molte scuole preoccupano innanzitutto le famiglie.

Il Ministro è responsabile di quanto sta accadendo.
Le sue norme sono non solo sbagliate, ma confuse e, per di più, non sono, ad ora, accompagnate da alcun chiarimento e orientamento di carattere didattico.

Dietro la campagna sul "rigore", rivolta verso bambini che, come è ovvio, andrebbero invece accompagnati ad una progressiva maturazione sul loro itinerario di crescita e consapevolezza, c'è la realtà di una scuola tagliata, costretta ad indebitarsi per svolgere la normale attività, avvilita nelle sue capacità ed esperienze.
Il merito professionale è stato ignorato, nessuna consultazione viene condotta, nemmeno ora, sulle forme della medesima attuazione della controriforma.

E' in questa grave situazione e nell'incertezza che la contraddistingue che vengono avanti episodi come quelli delle Longhena.
Chiediamo che l'Ufficio Scolastico provinciale convochi le scuole, che, lo ricordiamo, hanno una loro riconosciuta autonomia, per un monitoraggio attento di tutte le situazioni di crisi e per valutare assieme come consentire al meglio l'insegnamento e l'apprendimento”.

sabato 14 febbraio 2009

Una mattina, per Eluana, torna la piazza dei cittadini.

Ho vissuto questi giorni scomposti, fra la morte e l'odio, questi giorni terribili attorno al piccolo corpo di Eluana, senza trovare il tempo di pensare a Bologna.

Anzi la vita quotidiana della città è diventata lontana, estranea ai miei pensieri.
Ma Giovedì 12 Febbraio, nella mattina, in Piazza Maggiore è accaduto qualcosa. Qualcuno avrà fatto caso, negli anni, a quel signore, con gli occhiali alla Walter Valdi che è solito disporre una sedia o uno sgabello di fronte al Nettuno, salirci sopra e arrigare la folla, stile Hyde Park, unico "Soapbox orator" della nostra città.

Ebbene in quel giorno, a quell'ora, il capannello solitamente magro dei suoi ascoltatori si è fatto a lungo massiccio, una folla di persone si è fermata a discutere, si è creata la fila per chiedere di intervenire.

Il tema: la vicenda di Eluana Englaro, le polemiche, lo scontro attorno al Presidente della Repubblica, che non ha voluto firmare un decreto contro una sentenza della Magistratura.

Mi sono fermato anch'io. Mi sono appassionato, volevo dire la mia, poi il tempo del lavoro mi ha riguadagnato.

Erano giovani a parlare. La Piazza dei vecchi bolognesi, un tempo così abituati a discutere di politica è perduta per sempre, è vero, ma per un momento almeno, a motivo di un dramma, di una questione fondamentale, si è ricreata la voglia di discutere.

Insomma i cittadini esistono ancora, non c'è solo la "gente".

E' stato un attimo incredibilmente prezioso.

Sono rimasti coinvolti anche i ragazzi Rom che in una doppia decina si stavano radunando dall'altra parte del gigante (niente paura , non era una nuova invasione, ma il raggrupparsi per una partita di calcio)."Io avrei uccisu chi ha fatto male a ragazza, se era mia ragazza". "Ma che dici tu, sei ignorante. Era morta già. Era per non soffrire". "Ma se soffriva allora era viva, scemu!".

"No era viva, ma non parlava, non diceva niente neanche a lei stessa, per anni e anni. Meglio che vada a Dio. Meglio"." Si meglio ma che male per mama, per il papa. Che male stanno".

I commenti non erano molti diversi, alla radice, di quelli dei nostri ragazzi.

Si sa l'innocenza rende la mente più libera di pensare.

L'organizzatore del meeting era indaffarato e strambo come sempre. Ma bisogna questa volta fargli un monumento. Magari con i lenzuoli ed il gesso dei mimi che fanno sempre le statue. Proprio lì.

Segnali di fumo.
Rubrica di Davide Ferrari
su: "Ilbologna"

martedì 10 febbraio 2009

Poeti a Bologna.

Festa dell’Unità, Villa Torchi, 2008, Via Colombarola 42
Giovedì 2 Ottobre, ore 21,00

Poeti a Bologna.
"Vita quotidiana, cultura:
centro, periferia".

Letture e interventi dei poeti:

Davide Ferrari, docente all'Università di Bolzano.
Gregorio Scalise, docente di letteratura e filosofia del teatro all’Accademia delle Belle Arti, critico d’arte.
Carla Castelli, docente di lettere, curatrice del III Censimento della Poesia a Bologna.
Loredana Magazzeni, insegnante, operatrice culturale nel “Gruppo 98”.
Bruno Brunini, autore di testi per il teatro e di narrativa, curatore del III Censimento della Poesia a Bologna.
Presiede Luca Gamberini, coordinatore gruppo giovani del circolo PD di Corticella.

Festa Unità, Villa Torchi,
dal 25 Settembre al 6 Ottobre 2008