mercoledì 3 gennaio 2007

Esecuzione di Saddam. La nostra condanna

“Nell’Ulivo. Da Sinistra”
Una iniziativa per l'unità


Rifiutiamo la pena di morte, chiediamo all’Italia di tradurre in una iniziativa ONU di moratoria la condanna che una larghissima parte delle forze politiche del nostro paese ha ribadito in queste ore.
Una valutazione politica rafforza le nostre forti convinzioni ideali.
L’impiccagione di Saddam Hussein non è, come si è affermato a Washington, un atto costruttivo da parte di un nuovo e solido potere che si fa forte della propria autorevolezza, un gesto-sia pure crudele- di autonomia di un nuovo potere democratico che vuole legittimarsi.
Già le infinite irregolarità del processo, svoltosi fra soppressioni di difensori ed avvicendamento politico di giudici, avevano molto indebolito il dato positivo del processo ad una dittatura, oggi la sua conclusione drastica e velocissima, impedisce possano svolgersi altri procedimenti di grande significato analitico sulla storia dell’Iraq e dei suoi rapporti con le grandi potenze mondiali.
L’esecuzione non ha dimostrato che il diritto subentra alla violenza ed al sopruso ma che, al contrario, un potere debole e basato su una rappresentanza che resta divisa, per religioni, etnie e perfino per bande, compie un atto che rischia di fare eguagliare agli occhi di grande parte del mondo tirannia e democrazia e non favorisce alcuna maggiore certezza e sicurezza al martoriato paese iracheno.
Debbono fare riflettere anche le modalità dell’atto, la loro tragica inadeguatezza persino formale, il luogo del macabro evento, la data incurante della sensibilità religiosa, gli insulti personali al condannato e le esclamazioni al leader sciita Moqtada Al Sadr.
Così appare sconcertante l’incapacità- dimostrata proprio da parte di un governo sostenuto così fortemente dalle maggiori potenze occidentali- di cogliere responsabilmente i nuovi pericoli della situazione medio orientale che vede, da un lato, la questione iraniana, il nucleare e le minacce ad Israele del premier Amadinejad, e dall’altro la crisi libanese e la difficilissima situazione del popolo palestinese alle soglie di un conflitto fra le sue maggior forze politiche e sociali.
Una situazione drammatica dove l’occidente dovrebbe fare tutto tranne che rafforzare gli interlocutori dell’attuale leadership dell’Iran e promuovere tensioni.
Tutto induce a condannare gli esecutori ed a coprire le enormi responsabilità del condannato.
Un uomo finito torna tragico protagonista della storia, gli attori di una rinascita divengono anche oggi, ancora una volta, dopo anni dalla fine ufficiale della guerra e dopo elezioni, figure minuscole di vendetta e divisione.
Grandissime e molto gravi sono le responsabilità della politica del Governo del Presidente Bush, l’avvelenamento e la divisione portata dalla guerra preventiva e dal disprezzo delle istanze sovranazionali non cessano di dare nuovi frutti.
La strada della vera nascita di nuove istituzioni dell’Iraq, il più possibile unitarie ed egualitarie nei diritti da garantire a tutti i cittadini, con la presenza di garanzia delle Nazioni Unite e non più l’occupazione militare, è oggi lontana ma sempre più appare l’unica capace di chiudere la guerra e avviare la ricostruzione e contribuire alla ricerca della pace e della stabilità di una così grande e centrale parte del mondo.

Bologna, 1 gennaio 2007

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