venerdì 27 ottobre 2006

Il Senato boccia il decreto sugli sfratti.
La lotta politica della Destra colpisce gli "ultimi".
E' necessaria una reazione, per l'equità, per la solidarietà.



Giudico molto grave il voto con il quale il Senato ha bocciato la conversione
del decreto legge 29 settembre 2006 n.261, che quindi è decaduto.
Il decreto determinava il blocco degli sfratti per finita locazione di
immobili
ad uso abitativo, a favore di conduttori con reddito annuo famigliare inferiore
a Euro 27.000 e con presenza nel nucleo famigliare di persone ultrasettantenni,
figli a carico, malati terminali o portatori di handicap con invalidità
superiore al 66%.
Tecnicamente sono state accolte le pregiudiziali di costituzionalità
presentate dal centrodestra (senatori Pastore e Ferrara di FI).
Il provvedimento a) riguardava soggetti ben precisi assolutamente bisognosi
dell’aiuto pubblico; b) escludeva sfratti per morosità; 3) non era un
provvedimento di pura proroga dell'esistente, accompagnando la sospensione
degli sfratti con disposizioni per programmi di edilizia sovvenzionata ed
agevolata da parte dei Comuni e un piano nazionale straordinario di edilizia
residenziale pubblica a favore degli stessi soggetti beneficiari della
sospensione.
La bocciatura del Senato mostra una destra scatenata che pur di braccare il
Governo ha dimostrato una ben scarsa sensibilità verso le persone in condizioni
di bisogno.
Insomma, quella cultura dell’ ”abbandono” di chi ha bisogno che alimenta
da tempo il grande “piano inclinato” di rinuncia al principio costituzionale
della solidarietà.
E’ stato stimato che il decreto riguardasse circa 200.000 famiglie.
fra queste centinaia sono a bologna, moltissimi gli anziani in età molto
avanzata.
La grande stampa ha sottolineato quasi escluisivamente la sconfitta del Governo
ma sconfitte, ancora una volta sono queste famiglie.
L'opposizione al Governo sempre di più si colora o come una offensiva tesa ad
intercettare categorie e corporazioni, contro l'interesse generale, oppure come
attacchi diretti alla solidarietà ed all'equità.
Quanto è avvenuto deve indurre ad una reazione. Non basta governare. L'Unione e
l'Ulivo devono sopstenere, nella società, le ragioni della giustizia sociale
che sono nei provvedimenti di questo Governo.

Davide Ferrari

www.davideferrari.org

giovedì 26 ottobre 2006

Davide in Comune: "Il Nobel a Yunus"

INTERVENTO IN CONSIGLIO COMUNALE SU:
IL PREMIO NOBEL PER LA PACE 2006 A MUHAMMAD YUNUS
16/10/2006


Consigliere FERRARI (DEMOCRATICI DI SINISTRA)

Grazie Presidente,
io voglio ringraziare anche il nostro capogruppo Claudio Merighi per la sensibilità sul tema e per aver chiesto al nostro Gruppo di intervenire.
La notizia è notissima, è una notizia mondiale: è stato premiata, questa volta, certo col premio Nobel per la Pace e non quello di categoria, quello per l'economia, non una figura di economista accademico, tutto teso - come purtroppo spesso capita - a restringere le possibilità di inclusione di quelle grandi parti del mondo che dallo sviluppo risultano escluse, ma invece è stata premiata la figura di un grande economista, bangladese che ha dedicato tutta la vita ad utilizzare la propria intelligenza, la propria scienza non per escludere ma per includere allo sviluppo tante persone.
Racconta nei suoi libri, Yunus, come è giunto a questa sensibilità, che purtroppo non è di tutti.
Racconta quando, dopo la laurea e i primi insegnamenti negli Stati Uniti, tornando al suo Paese, verificava le condizioni di spaventosa povertà nei villaggi che egli stesso doveva attraversare per recarsi alla sua facoltà.
Decise di non fermarsi alla carità, pur necessaria, ma cominciò a riflettere su quali erano i meccanismi che perpetuavano la povertà.
Tra questi la presunta insolvenza delle famiglie povere, e quindi l'impossibilità di accedere a qualunque forma di sostegno economico tramite prestito, da parte del sistema produttivo ufficiale, il sistema bancario ufficiale, che pure in quel Paese, che è comunque un Paese di grandi attività commerciali, seppur poverissimo, esisteva ed esiste.
Ed ecco allora che iniziò ad approfondire, sia teoricamente, sia dando impulso pratico, addirittura iniziando in proprio, raccogliendo risorse sotto il suo nome, talvolta persino dalle proprie tasche, a costruire esperienze di micro-credito.
Le sue iniziative crebberò via via, mettendo in evidenza due cose: innanzitutto l'infondatezza del pregiudizio dell'insolvenza delle famiglie povere ed in secondo luogo l'emergere della capacità gestionale e manageriale delle donne, che chiunque di noi, se pone mente alla storia della propria famiglia può dire di conoscere, ma che molto spesso non è per nulla considerata come una risorsa economica.
Noi nel parlare di Yunus, consideriamo quanto ha fatto per i Paesi molto poveri, ma il suo pensiero ed il suo metodo insegna molto anche per quanto avviene anche nei nostri Paesi.
In fondo il paradigma di questo economista- rendere le donne e le famiglie protagoniste, favorire l'apertura di credito dall'economia ufficiale a chi ne ha più bisogno- vale anche per il nostro Paese, non è qualcosa di lontanissimo dal nostro mondo, da confinare in esperienze belle ma marginali.
Mentre venivo in Consiglio, cari colleghi e amici, sono passato in macchina lungo i viali e ho visto come anche in zone dove fino a poco tempo fa sarebbe stato ben bizzarro trovare sportelli bancari, vediamo fiorire una quantità incredibile di sportelli di banche, spesso anche provinciali, di città da Bologna molto lontane. Ecco, viene il dubbio, ci ho pensato dovendo fare questo intervento, se appunto anche da noi non sarebbe più necessario, invece di investire nella proliferazione degli sportelli e nella pubblicità, se il sistema bancario fosse assai maggiormente rivolto alla crescita, al finanziamento dello sviluppo a partire dalle fasce più deboli della nostra realtà sociale.
Anche da noi centinaia di migliaia di persone non ricevono fiducia dal sistema creditizio, o la perdono molto facilmente,.. Il capitale non si mette a rischio, non produce la diffusione del benessere sociale.
Yunus ha molto da dire anche a noi.
Salutiamo l'importante riconoscimento che gli è stato conferito, apprestiamnoci, ancor più, a leggerlo ed a verificare, anche alla luce della sua esperienza, quanto è possibile fare per ridare speranza di vita e di sviluppo a tante fra le nostre famniglie.

lunedì 23 ottobre 2006

Nell’ Ulivo. Da sinistra.

Nell’ Ulivo. Da sinistra.
Oltre i NO e i SI senza confronto.
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10 punti per unirci. E un 11°
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1.
Veniamo da percorsi ed opinioni diverse.

Ma, per noi tutti il progetto di un “partito dell’Ulivo” è un terreno di confronto decisivo, al quale non vogliamo sfuggire.
Alcuni di noi hanno dissentito o ancora dissentono rispetto a questa proposta ma affermano, nondimeno, che ora è il momento di una assunzione di responsabilità e non di trasformare in qualcosa di opposto ed alternativo ciò che non si condivide o che non si considera l’unica o la migliore strada.
Chi fra noi invece ha dichiarato sempre interesse e speranza per questo progetto ritiene che il punto sia oggi quello di allargarne con coraggio il raggio, di definirne i contenuti.
Serve quindi una dialettica diversa e moderna, non basata sui SI e sui NO preconcetti.
Chi ritiene di riferirsi ad idealità più forti, ad un impegno politico e civile maggiormente attento alla giustizia, alla pace, alla democrazia ha la possibilità e il dovere di portare un contributo a questo confronto, anzi di richiederlo, di esigerlo.
Ci riferiamo a quelle culture ed espressioni politiche che possono essere chiamate “le Sinistre” dei movimenti riformatori.
Sappiamo bene che non servono etichette ma prese di posizione concrete.
Tuttavia è indubbio che quelle sensibilità ed esperienze esistano e devono essere raccolte e interpretate.

2.
Cosa sono e dove sono le “Sinistre” dei movimenti riformatori.

Nei DS.
Tutti i DS sono un partito di Sinistra, per storia e per coscienza, modo di essere ora di centinaia di migliaia di aderenti.
C’è stata tuttavia nei DS una battaglia particolare, delle Sinistre del partito, negli ultimi congressi, che deve essere considerata- e per chi vi ha partecipato, rivendicata- in alcuni punti di fondo:
-l’impegno per realizzare e difendere il progetto di mettere in campo una coalizione larga di partiti e movimenti per battere la destra e cambiare davvero;
-l’affermazione dell’unità di tutta la coalizione e non solo dell’hard core riformista;
-l’aver detto no a dividere, con un muro ideologico, i riformisti dai radicali.
Ma, a nostro avviso, questa considerazione sarebbe insufficiente e illusoria se non facesse i conti criticamente
-con le ripetute sconfitte subite ai congressi
(per capire che c’è una identità di governo nel partito dei DS, non solo conformismo)
-con il voto degli elettori per l’Ulivo
(per capire che c’è voglia di parole nuove e di cominciare, più ancora che “ricominciare” a fare politica)
-con il risultato elettorale politico decisivo ma molto difficile
(per capire che al pettine sono venuti errori e manchevolezze di tutta la coalizione democratica. Non si può far finta di niente, se molto serie sono le insufficienze dei gruppi dirigenti,la campana suona per tutti, bisogna riflettere e capire che occorre un nuova strategia che colleghi consenso a cambiamento.)

Nella Margherita, nel mondo cattolico.
Così come molti cattolici sono impegnati nei DS, la Margherita non è un partito solo di cattolici. Esiste però una “sinistra oggettiva” nella Margherita e nei movimenti cattolici democratici, che ha propri nomi, linguaggi e pratiche.
Esiste riconoscibilissima e coraggiosa nella solidarietà e nella ricerca di pace.
Esiste anche sui terreni difficili della vita e della realtà delle diverse “famiglie” e dell’evoluzione dei comportamenti sociali.
Il punto sembra quello, oggi, di favorire una conseguenzialità maggiormente diretta fra scelta per i deboli, impegno sociale e scelte direttamente politiche e di promuovere, in forme originali, una nuova consapevolezza circa il rapporto fra politica, istituzioni e società.
Tanti hanno animato quelle realtà, significative e ricche di capacità di proposta, che hanno per anni prefigurato il “Partito democratico” reagendo con un lavoro di studio ed una maggiore ricerca di spessore e di interiorità culturale a un processo regressivo di negazione della speranza presente anche nel mondo ecclesiale, e tanti sono chiamate a scendere in campo, con più esplicitezza, proprio oggi che il Partito Democratico si vuole costruire.
La sua nascita positiva amplierebbe molto il senso del loro impegno civile, mentre il suo fallimento segnerebbe una sconfitta, o quantomeno determinerebbe un terreno più arido e infertile, anche per le esperienze che sono cresciute in una dimensione prevalentemente sociale o culturale.

Nei movimenti della Società civile e del mondo del lavoro.
E’ qui il punto più rilevante.
Guai a chi dice “i movimenti passano, i partiti restano”, comunque sia posizionato nella complessa geografia del centrosinistra.
Bisogna essere in sintonia con quella giusta opinione presente nei movimenti che chiede, insieme, di stare nel processo unitario e di portarvi contenuti più forti e caratterizzati.
Basta pensare al movimento che ha condotto e vinto la battaglia per la salvezza della Costituzione: non c’è stata al suo interno una volontà di passato ma una più chiara avvertenza sulla posta di gioco. Da qui è venuta la sua caratteristica di tenere assieme uno spirito non minoritario, la necessità di coinvolgere strettamente le grandi forse del centrosinistra, con il richiamo a valori forti ed ad una pratica intransigente sui contenuti di democrazia.

Non si tratta però di esportare nel nuovo più grande contenitore “democratico” le cellette delle "sinistre" presenti ora nei contenitori separati o di federarle.
Bisogna tentare qualcosa di molto più significativo.
Cercare di essere lievito e reagente perché le grandi culture della democrazia siano interpellate a riproporsi, a riformularsi, nella nuova forza.
Si deve incidere sull’interezza del processo di nascita dell’Ulivo, non su suoi settori autolimitati.

3.
Nessuno oggi può conoscere esattamente quale sarà l’approdo del progetto “Partito Democratico” ma
- nessuno può pensare di essere spettatore.
- nessuno può pensare sia solo un puro fattore omologativo.
Nasce anche dalla specifica storia italiana e sottolinearlo non è senza conseguenze, anche per i contenuti programmatici che è necessario si dia e per i quali occorre battersi.

Senza Moro e Berlinguer nessuno può capire di cosa stiamo discutendo.
Senza quindi il disegno di due lunghi cammini tesi all’inclusione sociale e generazionale, senza una concezione forte della democrazia, popolare e ispirata a partecipazione.

Senza una forte ripresa della tradizione di lotta civile e sociale ed insieme di governo, incarnata per molti decenni dal Partito Socialista, di Lombardi e De Martino, non si comprendono oggi questioni attualissime come la laicità e il valore universale della democrazia.

Senza il pensiero repubblicano, da Mazzini in poi non ascrivibile al liberalismo ma tendente all’Associazione ed ad una vita politica consapevole e collettiva, non è possibile riconoscere la radice, in Italia, del senso dello Stato democratico e del rapporto, basato sui diritti e sui doveri, fra i cittadini ed istituzioni.

Il nuovo partito unitario non deve nascere “contro” la storia dei grandi movimenti riformatori e certamente non contro la Sinistra italiana.
Sentiamo in questo ribadimento il nostro più forte carattere.

Per questo , per prima cosa, preferiamo dire “Ulivo”, non solo “Partito Democratico”, un nome che, isolato, richiamerebbe altri continenti e visioni importanti ma oggi non sufficienti della libertà politica e della emancipazione sociale.

4.
I compiti e l’ iniziativa
di chi, come noi, si richiama ad un forte contenuto di valori di democrazia e giustizia sociale sono duplici:
--da un lato contribuire a un chiarimento sui punti di fondazione etici e sociali del nuovo “Ulivo” e
--dall’altro lato impegnarsi perché si promuova un ampio e vero processo costituente dell’Ulivo, con modalità di partecipazione vaste e antitetiche all’appello ai gia’ convinti. E’ qui, non nel ritrarsi, l’antidoto migliore al rischio di veder nascere una forza moderata e fatta solo di ceto politico.

5.
Alcuni punti di riferimento, non solo valori

Possiamo ragionevolmente convenire che una forza politica che abbia la pretesa di essere insieme per la democrazia e continuatrice dell’opera di avanzamento e rimodulazione sociale operata dai grandi movimenti riformatori, dovrebbe partire da almeno quattro principi:

A) La libertà.
L’esperienza storica ha dimostrato che una società socialmente avanzata non può che essere democratica, e cioè caratterizzata dal pluralismo politico ma non solo, dalla partecipazione, da un effettiva possibilità di comunicazione ed espressione creativa, dal decentramento e dal rispetto integrale dei diritti umani fondamentali.
La storia ha dimostrato che la libertà, individuale ma per tutti, può mettere radici solo in un quadro economico pluralistico e, tuttavia, riesce, via via , a realizzarsi effettivamente solo in società che vedano una democratizzazione e regolamentazione dell’economia di mercato, con una forte componente di perequazione sociale.
La difesa e, meglio, lo sviluppo dei diritti di libertà non può non prevedere una particolare attenzione alla laicità dello Stato, in Italia ed in Europa.La laicità è garanzia della Repubblica, della sua possibilità di essere la patria di tutti i cittadini italiani, dovunque siano nati, qualunque sia la loro fede religiosa.
Ogni partito ha il dovere di affermare il valore della laicità.
Certamente il nuovo partito dell’Ulivo, nel quale lavoreranno assieme coscienze individuali e riferimenti culturali collettivi molto differenti.
La Repubblica laica, secondo la Costituzione, si avvale del contributo ideale e sociale di chi segue principi di fede e ne difende la libertà, secondo un principio di pluralità e non di reciprocità.
E’ giusto chiedere il rispetto dei diritti dei cristiani, in ogni paese del mondo, ma non si può ammettere di ridurre, o di modulare, qui i diritti di cittadini di altre fedi religiose.
I diritti fondamentali sono universali e non trattatibili o divisibili.
L’iniziativa politica ha una sua natura propria e specifica, vive della ricerca del consenso e della condivisione, può quindi essere il luogo della democrazia più adatto a realizzare
Isole per “stranieri morali”, istituzioni, temi, legislazioni, dove si registri rispetto e condivisione anche fra culture diverse e comuni passi in avanti.
La natura della politica è particolarmente adatta per costruire e difendere principi di comunità e di coesione sociale anche se fondati su una “identità di Arcipelago” e non sull’antico principio di “un popolo, una cultura, uno stato”.
Questo principio non può non avere come corollario la ricerca dell’unicità di razza e di sangue. Una ideologia che ha portato l’Europa ed il mondo sull’orlo del baratro, causando il più orrendo crimine della storia, proprio in uno dei cuori più avanzati, per civiltà e ricchezza della civiltà umana.
E’ quindi da meditare, con avvertenza e senso di pericolo, ogni rivendicazione di segnare una tradizione, una religione a fondamento dell’Italia o dell’Europa.
Proprio l’eredità più ricca della nostra tradizione e della religione che ha tanto contribuito a disegnarla, ha permesso di andare oltre, di volere la libertà dei diritti e dei doveri uguali per tutte le donne per tutti gli uomini.

B) L’eguaglianza.
Una forza di democrazia moderna e non formale non può che essere schierata a difesa degli interessi materiali e morali del mondo del lavoro.
Su questa base va ricercata una convergenza strategica con i ceti medi più interessati alle dinamiche di democratizzazione e innovazione. Una particolare attenzione va dedicata alla tutela dei segmenti più deboli del lavoro.
L’eguaglianza si traduce sul piano giuridico nella parità davanti alla legge, sul piano economico-sociale in una politica di equità, cioè di giustizia sociale e di empowerment dei lavoratori e di assunzione concreta di cittadinanza dei ceti emarginati.
Nei rapporti tra i generi, il principio di eguaglianza implica la pari dignità e l’affermazione del valore della diversità.
Per liberare la forza propulsiva della differenza femminile bisogna promuoverne il protagonismo politico e sociale, anche con azioni positive (come ad esempio, le ‘quote rosa’ in politica e sul lavoro), che correggano le discriminazioni prodotte dalla difesa del predominio maschile.non si tratta di creare o proteggere ghetti di genere ma di capire che il punto di vista maschile , da solo, non ha capavcità di leggere e guidare le trasformazioni sociali.

C) La solidarietà.
Ci sentiamo eredi di una serie di tradizioni solidaristiche, umanitarie e universalistiche, comprese quelle socialiste, associazionistiche e cristiano-sociali. E’ perciò naturale chiedere cheil nuovo Ulivo nasca per impegnarsi per difendere e sviluppare lo stato sociale, l’occupazione e la dignità del lavoro. Ma solidarietà significa anche perseguire un rapporto diverso con i paesi del Terzo Mondo, i cui interessi non sono affatto coincidenti con quelli dei lavoratori del mondo sviluppato. Ad esempio, occorre mettere in discussione, in primo luogo, la politica protezionistica degli USA e dell’Europa, che costituisce uno dei principali fattori di destrutturazione delle economie e delle società dei paesi poveri.
Una conseguenza dell’impostazione universalistica e umanitaria è anche il perseguimento della pace come sistema di governo “universale”, come obiettivo realistico e comunque urgente per un’umanità ormai in grado di autodistruggersi.

D) Lo sviluppo umano.
I movimenti di riforma sociale sono nati dal processo di modernizzazione industrialista, come reazione difensiva alle sperequazioni e all’alienazione che la società capitalistica produceva. Ma libertà, eguaglianza e solidarietà sono prodotti dal pensiero e dall’azione degli uomini e delle donne non solo e non tanto necessità poste per sempre dalla storia, “prodotti” che costano e richiedono conoscenze e risorse.
Perciò la sinistra è per definizione progressista. Ma il progresso non può più essere rozzamente inteso come incremento delle quantità delle produzioni, e nemmeno necessariamente come sviluppo economico, e ancor meno con la liberalizzazione ed estensione dei mercati.
Anzi il rischio è quello di vedere compromesso il progresso, oggi, nell’era del massimo e globale svilupppo.
E’ per questo motivo che si allarga la reazione ai mali della globalizzazione nelle forme gravi e sbagliate del rifiuto del progresso.
E’ quindi urgente e richiede grandi lotte e diffuse esperienze di governo trasformatrici far sì che i processi di globalizzazione diventino uno strumento di progresso per l’intera umanità, solo se governati dalla democrazia e dalla politica e sottratti al dominio incontrollato delle forze economiche.
Bisogna concepire lo sviluppo come crescita umana, incremento della capacità di soddisfare i bisogni fondamentali e della libertà di perseguire un autonomo progetto di vita. Quest’accezione dello sviluppo comprende in primo luogo un armonico rapporto con la natura.
La Terra degli uomini rischia la morte, ma un altro mondo deve essere possibile, deve essere possibile crescere senza distruggere, democratizzare la democrazia e globalizzare i diritti, progredire non regredire.


6.
La missione dell’Ulivo è alta. Serve un vero processo costituente.

Se i riferimenti sono ineludibilmente alti, e se il nostro compito è quello di considerarli da un punto di vista di governo e non solo di critica del reale, per costruire l’Ulivo non bastano assemblaggi che, anche a prescindere dalle buone intenzioni, finirebbero per essere basati su ideologismi preconcetti, su liberismi ormai alle nostre spalle, su “tagli delle ali” e restringimenti del campo di influenza della nuova grande forza che si vuole costruire.
Bisogna portare le grandi esperienze della Sinistra italiana di oggi in questo nuovo campo, che sarà comunque quello più vasto nel centrosinistra.
Così l’Ulivo potrà essere una storia lunga e feconda di futuro e, nell’oggi, essere la forza trainante e che riesce a tenere unita la coalizione e a reggere la prova del governo.
Per questo è importante avere i contenuti per dialogare anche con le Sinistre più radicali.
Non è utile rifugiarsi “più oltre”, invadere il loro campo- per esempio costruendo nuove ipotizzate forze politiche “più a sinistra”, con personale politico proveniente dai DS.
Anzi questa scelta probabilmente renderebbe più difficile il confronto, potrebbe contribuire a far mancare una forte interlocuzione fra riformisti e radicali.

Il progetto dell’Ulivo può realizzare, al suo compimento, uno strumento utile per ampliare la libertà, l’eguaglianza, la solidarietà, lo sviluppo umano?
E a quali condizioni?
Dopo il recente Seminario di Orvieto possiamo dire che finalmente è partito un dibattito sul partito democratico.
Ma è ancora molto ristretto, non sembra ancora aver raggiunto il livello necessario alla promozione di una Costituente e sembra più interessato ai Tempi e alla Struttura del nuovo partito.
Il “come” è importante. Anche per noi, soprattutto perché non vogliamo che una stagione di movimenti per la riforma della politica vada perduta.
Ma e’ ancora più importante il “perche’” del nuovo partito, gli assi di riferimento valoriali, e i suoi obiettivi politici.
Abbiamo cercato di richiamare i valori, ora, per iniziare a discutere gli obiettivi bisogna innanzitutto definire la priorità dell’oggi.

7.
L’Oggi. Sostenere il governo, prima priorità.

Abbiamo vinto. Dobbiamo governare.
Abbiamo vinto per poco. Serve una forte capacità di coinvolgere ed allargare il consenso.
Ma innanzitutto con le idee e la presenza nella società, non con il posizionamento nella scena politica.
Serve una iniziativa nella società.
Occorre realizzare e implementare il programma dell’Unione. Bisogna chiarire sempre per chi si governa, far parlare i bisogni, portarli ad avere voce.
E’ necessario agire nella società civile per campagne che pongano le questioni di riforma e sorreggano poi l’azione del Governo.

8.

Ma sorreggere un Governo non basta, bisogna governare. E allora bisogna chiarire per che cosa si governa. I “Perchè” dell’Ulivo.

8.1
Perché..è giusto porre la questione Pace.
Le politiche di pace, di ripudio della guerra, i valori della nonviolenza sono del tutto attuali. Oggi di più e non meno.
Sono il vero discrimine.
Una vera alternativa alla guerra fra le civiltà e le culture è possibile oltre che necessaria.
Dire Occidente non è sufficiente, e, quasi sempre , è sbagliato e fuorviante.
Ma non si può eludere il nodo di tracciare una strategia di pace a partire dal ruolo dell’Italia, la sua storia e collocazione.
Europeismo e Mediterraneo, allora, non isolazionismo.
Il Partito del Socialismo Europea e l’Internazionale Socialista sono riferimenti importanti per questi motivi.
Da un lato la Margherita deve prendere atto non solo che i DS non vi rinunceranno ma che nessun progressista in Europa potrà sedersi a lungo in banchi intermedi, dall’altro lato, bisogna, tutti insieme, chiarire su cosa e a chi deve allargarsi la famiglia progressista.
Molto si cita, a questo proposito, il Partito democratico americano, ma, almeno con la medesima intensità, bisogna aprire la sinistra nata in Europa al presente di grandi processi di trasformazione che avvengono in nazioni rilevantissime come il Brasile, il Sud Africa, l’India.

8.2
Perché..è giusto porre la questione Ambiente.

Il punto di irreversibilità nelle condizioni di degrado della vivibilità del pianeta è vicino.
Pure sembra che nessuno voglia fino in fondo occuparsene.
La politica, rimpicciolita dalla globalizzazione, deve e può rinascere se afferra i nodi globali, non li elude.
Così per il nodo fra pace, salvaguardia del pianeta e sviluppo
Ecco un tema sul quale misurare chi è moderno e progressista e chi resta indietro.
Al Gore è un buon esempio.
Non abbiamo molto tempo. Dobbiamo incominciare a fare sul serio.
Per la pace e per l’ambiente, per un vero e equo sviluppo bisogna promuovere una trasformazione delle Istituzioni Economiche Internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, WTO, organizzazione del commercio internazionale) che modifichi l'attuale configurazione in cui il meccanismo di voto è basato su indicatori di ricchezza economico-finanziari e dà, di conseguenza un peso politico fortissimo e decisivo ai Paesi immensamente più ricchi.
Paesi e poteri che sono spesso in condizione di imporre le loro politiche economiche alla maggior parte dell'Umanità. Da questo discendono scelte internazionali penalizzanti per lo sviluppo del mondo intero, che hanno causato, tra le altre cose, aumenti dei flussi migratori. In questo contesto un ruolo decisivo può essere svolto dall'Unione Europea.
Ma una politica per l’ambiente si costruisce anche nella dimensione locale e con l’educazione ed il sostegno a comportamenti personali consapevoli sui consumi, il quotidiano , i rifiuti, la mobilità.


8.3
Perché…è’ giusto porre la questione Sociale.

Bisogna realizzare una politica economica e sociale dell’Ulivo. Un’ Ulivo che governa.
Non ci si può fermare ad una discussione che si divide fra liberalizzatori anticorporativi e difensori dei diritti di ogni lavoratore nel suo lavoro.
Questi punti di vista propongono naturalmente obiettivi del tutto positivi ed ineludibili ma non realizzabili, se considerati isolatamente.
E’ necessario portare avanti l’economia dell’Italia, e tutti i suoi aspetti di qualità e di futuro per garantire il rispetto concreto dei diritti di chi lavora e per liberare forza di impresa e creatività nel lavoro.
Ci vuole una politica economica seria, espansiva e qualitativa
Questo chiede il movimento sindacale confederale.
Per venire all’attualità è’ l’unico modo per arrivare, dopo una legge finanziaria equa ma sofferta, ad una più generale politica economica del Governo che sia strategica e condivisa.
La Sinistra nei momenti più alti della sua storia si è fatta interprete della domanda di sviluppo, e quindi di giustizia sociale, dell’intero paese.

Oggi i capitoli di questo tema sono la scelta di un modello di alta qualità, per l'Italia, con l'affermazione della priorità dell'investimento per "Ricerca e sviluppo", e la realizzazione di un sistema per una "Economia della conoscenza".
Ma altrettanto importanti, in un modello qualitativo, sono la "Democrazia economica", nelle forme di impresa, con un forte ruolo della Cooperazione, reso però più limpidamente differente per obiettivi e funzionalità non solo per forma giurica rispetto all'impresa privata, e del Terzo settore.
La precarietà del lavoro come sistema non ha messo al riparo l'Italia dalla concorrenza dei nuovi grandi paesi in sviluppo e ha dequalificato il lavoro.
Oltre che ingiusta e negatrice delle prospettive di vita dei giovani e delle famiglie, la precarietà è anche incompatibile con un modello di sviluppo rinnovato e vincente.
La sicurezza sul lavoro è tornata maggiormente all'attenzione, per le lotte delle organizzazioni sindacali, per l'evidenza di terribili eventi luttuosi, per le ripetute dichiarazioni del Presidente Napolitano.
Ma ancora è tollerata una grande negazione del fenomeno dei morti e degli infortunati, della realtà di luoghi di lavoro e intere catene di produzione organizzate , come sulla precarietà o sul "lavoro nero", su condizioni di insicurezza strutturali.
La lotta per la sicurezza del lavoro deve essere un assoluto e distintivo impegno per l'Ulivo, dal governo e nella società.

Consideriamo ancora arretrato il dibattito sull'economia.
Si mantiene ancora, sia pure con primi segnali di indebolimento, una egemonia di teorie ormai obsoletre, fondate sulla affermazione dell'automaticità delle forze del mercato rispetto ad ogni altro intervento possibile.
E' questa prevalenza che ha influenzato, causando errori seri, i processi di privatizzazione.
Essi non sono l’inevitabile panacea dei mali dello sviluppo. Dipendono dalla geometria delle forze in campo e dall'effettiva funzionalità che dimostrano, non da principi inderogabili. Oggi bisogna cominciare a dire che dovrebbero avere luogo solo ove realmente necessari (cioè nei settori e nei servizi caratterizzati dalla presenza di concorrenza e non di monopolio né di oligopolio, perché in tali caso ci si limita a regalare public utility ad un monopolista privato) e che occorre valutare le esperienze positive, ma anche quelle negative, delle privatizzazioni avvenute, in Italia e nel mondo.
Un tema appare sempre più cruciale per definire identità e funzione storica di una forza politica democratica:
difendere il welfare state mantenendo il suo ruolo storico di tutela delle fasce più deboli e dei lavoratori.
Il welfare ha bisogno di una politica di costruzione della ricchezza che metta in discussione il come ed il cosa produrre e di politiche di redistribuzione della ricchezza prodotta che mantengano il punto dei diritti universali della persona, in particolare ad una cura ed assistenza garantite, nell’ informazione sulle opportunità, nella quantità e nella qualità.

Un rinnovato intervento pubblico, per lo sviluppo e la redistribuzione sociale, ha bisogno di risorse ingenti, proprio mentre deve essere affrontata con rigore, per svolgere un ruolo di indirizzo a livello europeo,il peso del debito pubblico.
Oltre alla lotta agli sprechi, certo non da sottovalutare, ma che non può essere una agitazione retorica, emerge sempre più il tema della fiscalità.
Quanto fisco è necessario, quanto è sopportabile?
L'equità fiscale e la lotta all’evasione non possono essere, nelle condizioni date, un'opzione negoziabile.
Nessuna raccolta dai cittadini può essere data per scontata senza una battaglia politica che parta da una ferma definizione degli scopi.
Non ci sono infatti più possibilità di misure compensative basate su inflazione e redditività del debito. La conflittualità tenderà quindi ad essere alta.
Il problema è rendere esplicite le mete del rigore e della raccolta delle risorse per costruire consenso e reggere la prova.


8.4
Perché….è giusto porre la questione del diritto alla conoscenza,
per una grande quantità di uomini e donne di qualità.
Formalmente, nel campo democratico, si può dire in tutto il mondo, è affermata la primaria rilevanza della ricerca scientifica, della formazione, della scuola.
Eppure sembra essersi fermata la grande spinta ad innalzare la scolarità di base e superiore.
Per molti sarebbe finito, con il '900, il secolo della scuola.
E la ricerca, sia pure in maniera disomogenea nei vari paesi, non si afferma come un valore fondante del futuro della crescita.
Anche e soprattutto qui si registra l'insufficienza dell'impostazione liberista. Il suo risultato, nel medio periodo, è infatti una compressione della mobilità sociale ed un restringimento dell'utilizzo del capitale umano.
Serve una svolta. Deve essere garantita da una scelta pubblica. Anche nel nostro paese.
Servono risorse, investimenti da mettere al riparo della riduzione del debito.
Investimenti nella scuola e nell'università, dove ormai rimane poco oltre alla spesa per il personale- che peraltro qualcujno insiste a chiedere che venga ridotta invece che riqualificata.
E nella ricerca, per garantire un equilibrio fra il sapere di più lungo valore e il sapere immediatamente applicato all'innovazione produttiva, per altro entrambi insufficientemente promossi.
Il mondo dell'economia va coinvolto in questo grande investimento. Senza ottenere la partecipazione delle imprese non si avranno mai risorse sufficienti , finanziarie ma anche umane, di esperienza.
Ma non si può attendere il privato o delegargli la funzione di porre la conoscenza a fondamento del patto sociale, della ripresa italiana.
Solo l'intervento pubblico può essere il volano di questo investimento, che deve avere dimensioni davvero significative.
Se si raggiunge la consapevolezza del problema si comprende come la scuola pubblica mantenga ed anzi rafforzi il suo ruolo.
Un ruolo di riferimento di un sistema formativo più grande e integrato, certamente, ma comunque più urgente e necessario per la coesione di un paese multiculturale e, per la prima volta nella storia, maggiormente diviso nelle speranze di progressione sociale di quanto non fosse per le generazioni precedenti.
Non si può accettare l'aumento delle differenziazioni culturali e sociali. E' accompagnare il tramonto delegare la funzione formativa ad un mercato che non può, prima ancora di non volere, assolverla. Non serve solo un'eccellenza, un ceto dirigente, serve ad un paese moderno una grande quantità di uomini e donne di qualità. Senza la lungimiranza nell'investimento per la scuola pubblica l'Italia non ha futuro.

8.5
Perché...è giusto porre la questione dei modi della politica.

La vita dei partiti, anche di DS e Margherita, pur diversissimi, è largamente inaridita.
Le maggioranze appaiono spesso supportate da un consenso che parte anche da posizioni di rendita e non dalla forza delle idee.
Sempre più spesso la credibilità della persona dei leaders sembra l’unico oggetto su cui rimane una scelta da esercitare, non solo ai cittadini ma anche agli iscritti.
Ma anche componenti di minoranza- chiuse e tutte interne- non sono una alternativa e spesso si sono negate ad una trasformazione del modo di fare politica con più rigidità e non meno protervia delle strutture ufficiali.
Certamente occorreranno Primarie regolate e a parità di risorse garantite, per formare una nuova dirigenza.
Ma non si vive di sole Primarie. Anzi.
Se non si realizza un partito moderno e partecipato anche le Primarie possono accompagnare degrado e prevalenza di censo.
In ogni caso una riforma della vita interna dei partiti, anche per garantirne efficacia e trasparenza e per ridurne costi impropri ed oppressivi, non può darsi senza una riforma elettorale.
Bisogna superare la grave legge attuale che ha teso a chiudere la grande questione della riforma della politica, apertasi dopo la caduta del muro di Berlino e dopo “tangentopoli”, con una salda ed indecente unione fra potere partitico restaurato e rinforzato e oligarchismo decisionale.
Su questo tema bisogna unirsi subito e unire tutti coloro che con buona volontà vogliono cambiare, per ridare potere di scelta ed indirizzo ai cittadini.


9.
Un partito? E quale?

Sembra naturale che la nuova forza politica viva di forme di partecipazione, elaborazione e decisionalità articolate nei tre corpi costituiti dagli iscritti, dagli eletti nelle istituzioni e dai cittadini elettori.

Sembra però opportuno che ai diversi corpi corrispondano funzioni e decisioni differenti( per esempio che una spiccata vocazione programmatica sia assegnata al corpo degli eletti) e pare necessario che venga assicurato il principio democratico di “una testa un voto”.
Altrimenti non sarebbe garantita una dimensione ampia e partecipata e una presenza territoriale ricca e strutturata.
Ma ci pare evidente che dovranno esserci forme di integrazione graduale dei partiti attuali e che non sia pensabile, ne auspicabile, una loro scomparsa ad un’ora x.
Vi sono ragioni storiche, abitudini ed attitudini diverse nel fare politica irrinunciabili per decine di migliaia di militanti.
Vi sono persino questioni patrimoniali che certo non saranno risolte in un giorno.
Tuttavia se è necessario riconoscere distinzioni di vocazione e di funzione non si dovrà perpetuare in correnti separate, senza reale e verificata identità politico-programmatica, ciò che oggi già esiste nelle presenti forme partito.
Soltanto l’afflusso di migliaia di nuovi “ulivisti” potrà tenere assieme il nuovo corpo politico e un simile ingresso avverrà e si renderà stabile solo se ognuno potrà contare uguale. Se invece chi già c’è pretenderà forme diverse di decisione è evidente che chi giunge non rimarrà a lungo.
Rischio altrettanto grave è però pensare di sostituire il “vecchio” centrosinistra con un modello basato sul rapporto diretto fra un leader elettorale e un indistinto “popolo delle Primarie”.
Ciò porterebbe ben presto al contrario di quello che si vuole: ad una leggerezza fatta solo di comitati elettorali, organizzatori delle risorse e del consenso e ristretti ed asfittici nella promozione politica.
Le Primarie sono un metodo utilre e comunque oggi probasbilmente necessario per scegliere le massime leadership, per costruire una nuova classe dirigente legittimata.
Ma se dovessero diventare l’unica forma consolidata e stabile di partecipazione si accentuerebbe il distacco fra cittadini e politica.
La partecipazione dovrà avere il potere di decidere non solo i vertici ma anche i contenuti, i programmi.
Bisognerà costruire forme di decisione,sedi, congressi di programma, per determinare democraticamente gli obiettivi da perseguire
Servono quindio strutture di bas, territoriali e /o basate su affini esperienze e conoscenze, e federazioni delle strutture del partito di coordinamento, iniziativa e servizio.
Funzioni di servizio alla cittadinanza, ad iniziare dalla diffusione di informazione e conoscenza, dovranno essere comunque compito ad ogni livello delle strutture del partito, accanto a quello della discussione politica e della preparazione ai momenti di scelta del programma e della leadership.
Non ci sono risposte precostituite su come organizzare una buona politica, l’ascolto e la socializzazione delle esperienze saranno i metodi migliori per individuarle.
Sono invece ben noti i guasti della cattiva politica, gli apparati costosi e non visibili, ben peggio del vecchio funzionariato, la scarsa attendibilità dei tesseramenti e la costruzione del consenso solo accanto a centri e persone di potere ecc ecc.
Serve più politica, non meno, per porvi rimedio, la passione dei grandi temi, delle grandi motivazioni, (il Globale) e lo studio, la discussione comune sulla realtà nella quale si vive,(il Locale).
La dialettica “Globale/Locale” dovrà riflettersi anche nel tentativo necessario di allargare gli interessi della politica ai temi del quotidiano, il limite sarà quello del rispetto e della laicità non quello della mancanza di cura.
Per questo “Globale/Locale” per noi significa anche “Generale/personale”.
La riforma della politica non la potremo mai fare da soli. Il rinnovamento dovrà contaminare tutto il sistema politico.
E la Riforma non potrà essere solo “autoriforma”.
E maturo il momento di dare trasparenza e validità certa e legale ai divetrsi momenti della vita di ogni partito anche con lo strumento di una legge.La Costituzione lo prevede, lo si è evitato per il timore, a lungo fondato, di un rischio autoritario e poi per la forza delle cattive abitudini.
L’Ulivo dovrà porre il tema accanto a quello, che chiarisce e completa, di una valida riforma elettorale.


10.
Concludendo….

Non bastano i NO e nemmeno i SI’ preconcetti.
L’impegno che ci diamo è conseguentemente la promozione del confronto, a partire dai grandi temi che abbiamo qui nominato.
Sulle premesse che abbiamo citato si può pensare ad esprimere un giudizio sul futuro partito.
Non è vero che bisogna sempre e solo scegliere fra omologazione e minoritarismo.
La cultura della democrazia, il mondo del lavoro, il protagonismo delle donne , la necessità di futuro dei giovani richiede e può realizzare qualcosa di più.

Si può scegliere l’ Ulivo solo così,a queste condizioni e con questo metodo: una scelta di unità per dare una politica alle culture della dignità umana, per impegnarsi per un futuro possibile, un mondo respirabile, il diritto a valere quel si vale.

11.
E l’11° punto.Cominciamo con il fare dei prossimi congressi di DS e Margherita delle vere assise programmatiche.

I prossimi congressi dei DS e della Margherita saranno un momento importante e un appuntamento ineludibile per tutti “quelli dell’Ulivo” anche per coloro che non fanno parte di questi partiti.
Chiediamo che siano congressi su una scelta ma anche e soprattutto su un programma.
Un programma che sia possibile discutete ed emendare.
Non da soli ma con i cittadini.
-Altrimenti le maggioranze chiederanno un voto a scatola chiusa e si ritroveranno a gestire tutti i problemi di fondare un nuovo soggetto politico senza chiarezza.
-Altrimenti le minoranze, pensiamo ai DS dove il confronto è più evidente sul NO e sul Si al Partito democratico, cercheranno una rendita, piccola e grande, basata sui voti di rifiuto della proposta rinviando a dopo la sua decisione su dove stare.
Un congresso programmatico vero e proprio non è nemmeno soltanto un”congresso a tesi”, inevitabilmente precostituite e dove la polemica si concentrerebbe nella conta su un punto o due.
Di nuovo, inevitabilmente, in modo politicistico.
Un congresso programmatico deve essere una grande iniziativa di partecipazione, dove contino percorsi di genere e di generazione, del territorio e delle competenze.
E dove sia già è possibile lavorare assieme, liberamente con chi ha contributi da portare anche se ha una tessera di un altro partito dell’Ulivo o, soprattutto, si riconosce in una militanza ideale senza appartenenza.

No a “farsi da parte”, no a delegare, serve “un impegno nuovo”.
Le culture delle Sinistre del riformismo, a cominciare da quella Socialista e del Lavoro che è radice nei DS, ma importante per tutto l’Ulivo, non possono non esserci se nasce il Partito dell’Ulivo.
L’Ulivo ha bisogno di coscienze vigili, di vedere le sue energie morali ed intellettuali, che si ritengono e forse sono, più combattive non per forza ghettizzate o minoritarie.
Bisogna esserci e aprire il confronto, coinvolgere chi ha idealità e posizioni simili che chiama, magari, per storia e cultura , con nomi differenti.
Soprattutto bisogna raccogliere la partecipazione di chi è fuori dai partiti esistenti ma vuole fare politica, seguendo idealità, valori, voglia di giustizia, e vuole farlo in un contesto vitale, “democratico” appunto.


anna rosa almiropulo, vincenzo annino, valerio benuzzi, francesco domenico capizzi, giancarla codrignani, rosanna facchini, davide ferrari, giorgio festi, ferruccio giacanelli, giuseppe giliberti, laura governatori renzoni, marco mazzoli, massimo meliconi, piero mioli, werter romani, gregorio scalise, antonio accattato, francesco annino, antonella babini, davide barbieri, massimo borioni, matteo brambilla, santino bravo, maria busi, maria teresa cacciari, nino campisi, rocco cardamone, riccardo casadio, renzo cingolani, "nino" luigi colombari, ludovico copalea, giuseppe d'agata, marica de alessandri, mauro della casa, carlo degli esposti, alessandro fabbri, andrea federici, glauco ferrari, giuseppe ferraro, claudio gandolfi, gianni ghiselli, francesco giampietro, maurizio giordani, giovanni grandi, francesco guerra, maurizio indirli, antonio lo vallo, fiorenzo malpensa, giacomo manzoli, eugenio mastrorocco, patrizia monti, tullia moretto, giorgio nuvoli, elena pedrini, luisa rossi, paolo rossi, giovanni rossini, etienne salvadore, pier paolo salvarani, paolo staffiere, giuseppe samoggia, lella torraca, roberto venturi, daniela zoboli fini…………

Per discutere, per aderire, per lavorare insieme: ulivo.sinistra@yahoo.it

martedì 17 ottobre 2006

Davide in Comune. Intervento sulle gravi violenze contro donne.

Consigliere FERRARI,
DEMOCRATICI DI SINISTRA
(intervento nel Consiglio comunale di Lunedì 9 Ottobre 2006)
BOZZA STENOGRAFICA

Utilizzerò ben poco del tempo, non per
mancanza di interesse per la
discussione ma per seguire l'indicazione che il
Presidente dava, immagino
anche su ispirazione e richiesta delle colleghe
proponenti. Ciò detto, che
dire in due o tre minuti? Solo un punto,
colleghi, su cui magari in altra
sede potrà essere utile ritornare, dopo
l'affermazione generica ma
significativa di adesione alla relazione
della presidente Suprani e
all'ordine del giorno unitario, che ho
sottoscritto, e anche all'intervento e
all'ordine del giorno presentato dal collega Lo
Giudice. Che dire quindi in
pochi minuti? Io introdurrei un argomento -
magari, ripeto, da sviluppare
anche in altra occasione, se si vuole - che
è il seguente: è vero, non va nascosto
dietro a nuove urgenze di sicurezza,
addivenute dopo fatti incresciosi e
drammatici e anche dopo diffusi comportamenti,
c'è anche il problema del
pervenire in una situazione come la nostra,
prima più al riparo, non di
culture diverse ma di veri e propri
comportamenti inaccettabili che
provengono da diverse realtà: un machismo
diffuso che da noi non era
sconosciuto ma era secondario. Seconda
verità: c'è un degrado indubbio
della vita familiare. Se si mangia assieme una
volta alla settimana e non
quattordici volte in sette giorni, volete
mai che possa esserci una
trasmissione, un magistero del padre ai
figli, della madre alle figlie,
della famiglia? E' assai difficile. Vero
anche che si è persa una certa
presenza in ognuno di noi e certamente nel
diffuso della società del senso
del limite, è vero. Sono anche affiorate
culture individualiste, per
origini diverse. Però - e ho trovato anche nelle
parole del collega Carella
poco fa una conferma - io sono convinto che il
nocciolo che sta dietro nei
confronti della violenza alle donne è
quello che questa violenza è un
indice sociale, è stato ricordato. Diciamola così
in un secondo: non appare
forse a tutti noi a ben riflettere come
la parte maschile si senta
incalzata da una trasformazione antropologica
e che la violenza sia
risposta alla perdita di potere? Questo
l'abbiamo riconosciuto. Allora
mettiamolo, perché evidentemente è più
rilevante perché è più generale,
avanti rispetto agli altri motivi. Io su
questo concludo, ho detto solo
titoli ma li ho detti con convinzione, non
mi sembrano poi in fondo
banalissimi. C'è di più però; non basta dire
che questa perdita e questa
sfida sul potere in qualche modo determina
un incubatoio per atti di
risposta violenta, c'è di più, c'è un dato
appunto sociale. Provo a dirla
così: non è forse vero che mentre la società in
qualche modo sui diritti,
io dico almeno dall'inizio degli anni
Ottanta, non ha segnato poderosi
avanzamenti? Anzi, pensiamo alla situazione
nei luoghi di lavoro per
esempio, ha segnato ritorni indietro? Non è forse
vero che in questi stessi
anni invece nella società la richiesta di
diritti da parte delle donne e
l'affermazione professionale che la
sostanziava sono andate invece molto
avanti? E allora c'è come un doppio
movimento, uno del quale va contro
l'altro; non c'è soltanto una sfida a
ridefinire il ruolo maschile, c'è
qualche altra cosa, e cioè c'è una società che
mentre le donne chiedono di
andare avanti sta ridefinendo all'indietro
molti dei suoi confini di
diritti reali. Questo è il punto. C'entrerà
qualcosa questo rispetto alla
violenza? In altre epoche, badate, è c'entrato
eccome, è c'entrato eccome,
e a un certo punto il sociale prevalente,
la deriva alla negazione
dell'individuo, della persona e
dell'uguaglianza, ha prevalso su realtà
molto forti che erano andate consolidandosi,
perlopiù nella sfera maschile.
Questo è stato per esempio negli anni Venti
e Trenta in tutta Europa e
forse non solo in Europa. C'è qualche cosa
che ci può fare supporre che
questa è una ragione generalissima, che certo
va molto in là rispetto ai
nostri dati, ai nostri doveri, a come rispondere
qui, che indirizzo dare al
confronto con le forze dell'ordine, come
garantire la repressione, come
garantire la prevenzione, su quale piano
fissare l'orizzonte educativo?
Certo, di questo dobbiamo occuparci. Io però - e
con questo termine - sono
convinto che se almeno non dimenticassimo
quello che qui i colleghi hanno
detto, cioè la violenza alle donne come
indice di un problema sociale
generale, e quello che mi permetto di suggerire
modestamente, che cioè ci
sia una controtendenza femminile che va
salvaguardata rispetto ad una
società spesso avara sul piano dei diritti,
ebbene, se ragionassimo più di
questo forse potremmo, con più motivi, dare
sostanza a tutte le scelte
politiche concrete che abbiamo di fronte.

venerdì 13 ottobre 2006

Davide in Comune."Gli 85 anni di Andrea Zanzotto"

CONSIGLIO COMUNALE DI BOLOGNA
09 10 2006

(Stenografico)
Consigliere prof. Davide FERRARI.

Fra qualche giorno l’Università di Bologna, il Dipartimento di Italianistica,per iniziativa della Prof.sa Niva Lorenzini, come è ormai quasi una tradizione che si rinnova di lustro in lustro, ospiterà Andrea Zanzotto, per celebrare assieme a tanti amici gli 85 anni del poeta.
Zanzotto ricevette dal Magnifico Rettore e dal Preside di Lettere, professor Sassatelli l’8 marzo del 2004 la laurea ad honorem dell’Università di Bologna.
Qualche anno prima, come già ricordavo, nel 2001, un significativo convegno ne celebrò gli 80 anni; ebbe poi il premio Campana della Città di Bologna nel 2002.
In queste e in tante altre occasioni, qualcuna promossa dalla nostra "Casa dei pensieri", il poeta ha visto come la città lo consideri un punto di riferimento e gli rivolga un affetto caloroso. D'altra parte è vivo il ricordo del suo lavoro in legame con una figura così importante per la nostra Regione, Federico Fellini.
Parlando qui, in Emilia-Romagna mi piace ricordare la partecipazione straordinaria e decisiva che ebbe nel Casanova di Federico Fellini, quella che per i più è rimasta nel ricordo come la famosa incantevole "cantilena", uno dei punti più alti del rapporto fra storia della letteratura, arti e cinema, e poi ne: "E la nave va" e "La città delle donne".
Andrea Zanzotto forse, in questo momento, mi pare di vederlo, nel suo pomeriggio a Pieve di Soligo, starà – lo fa ogni giorno – contando i mille passi che per autoesercizio si è imposto per tenersi in forma, fisicamente.
La mente non ne ha bisogno. Il poeta continua ogni giorno a regalarci qualcosa.
In particolare scrivendo e parlando di due temi che io credo siano molto importanti e che hanno costituito anche l’argomento della sua lezione in occasione della laurea all’Università di Bologna.
Il primo riguarda il compito della poesia: essere libertà.
Senza retorica: chiunque ha letto anche solo pochi versi sa che il suo linguaggio, tratto da tante ispirazioni, da quella dell’infanzia, alla modernità, ai linguaggi delle altre lingue mediatiche e del consumo che ci attraversano, non senza complicatezza e anche dolore per l’integrità della persona umana. Bene, tutto questo configura un quadro inevitabilmente lontanissimo dalla retorica.
Nondimeno Zanzotto è stato il poeta che in questi anni ci ha ricordato come la poesia stessa sia, come lui ha scritto, "la prima figura dell’impegno", come serva a segnare essa stessa "una prepotente sortita dell’uomo dalle barriere di ogni condizionamento": la poesia è libertà e il poeta ha il compito di richiamare a libertà la società nella quale vive.
E il secondo grande tema su cui ragiona, e chiama ad allarme e a consapevolezza, la testimonianza del poeta di questi anni è quello dell’irreparabile, così l'avverte Zanzotto, degrado della natura a opera dell’uomo.
Tema molto doloroso, tragico, sviluppato a partire dalla esperienza di una vita così fedelmente inserita in una realtà territoriale particolare, dove natura e cultura si sono intrinsecamente unite, come la meravigliosa campagna veneta.
Qui, in ogni punto di equilibrio perduto, in ogni traccia di rottura, in ogni perdita, nei campi, nel paesaggio, nel rapporto fra vita, lavoro e natura, Zanzotto ha visto confermare un'ansia che le letture, l'informazione sul mondo presentano a tutti a noi
Il degrado dell'ambiente, il senso di una fine che si annuncia da mille segni: per Zanzotto qualcosa vissuto direttamente in prima persona, che il poeta riporta- nelle sue conversazioni- nella memoria, ad esempio sull’estate terribile di due anni fa e su quel calore malato che ci sorprese, come una evidenza della distruzione della natura, per nostra responsabilità.
E’ normalità dei poeti essere inascoltati, ma, oggi, come non mai, senza libertà e senza natura non c’è vita, per questo non sono momenti formali tutti quelli che, come sarà fra pochi giorni, ci permetteranno di avere un nuovo dialogo con lui, una sua nuova presenza nella amica città di Bologna.

Davide in Comune. Interventi.

Nota Stampa
11 Ottobre 2006

"Serve un patto taxisti-comune-consumatori"
Un intervento del Consigliere Ferrari

Il consigliere Davide Ferrari è intervenuto oggi nella Commissione Attività Produttive del Consiglio comunale sul tema del servizio taxi.

"Ci vuole un nuovo patto fra il Comune ed i taxisti per la differenziazione e la maggiore qualità del servizio.
E a questo patto bisogna associare i consumatori e le loro associazioni.
I taxisti hanno il diritto di vedere nuove realizzazioni a loro favore, ad esempio nei posteggi per i quali serve un centralino unico e automatizzato , la salvaguardia della loro sicurezza e i telefoni in piena funzionalità.
Oggi chiamare un posteggio, che è necessario per non ingolfare i radio-taxi, non è sempre agevole.
Si potrebbero affidare ai taxisti, anche in autogestione, alcuni servizi per i posteggi.
Così bisogna continuare con decisione la politica dell'attuale amministrazione per garantire il controllo delle corsie preferenziali.
D'altra parte bisogna garantire un aumento mirato del servizio.
Non tanto con più licenze quanto con una forte specializzazione e differenziazione del servizio.
Taxi collettivi, taxi rosa, corse fisse: sono questi i puinti sui quali è urgente fare passi in avanti.
Infine bisogna coinvolgere i cittadini come consumatori.
Si parla sempre delle Associazioni dei consumatori solo come commentatori-a livello nazionale- dei grandi problemi dell'inflazione e della qualità dei prodotti in commercio.
Bisogna promuovere invece- a livello locale-un maggiore ruolo dei cosumatori-utenti dei servizi".
I consumatori devono avere voce al tavolo di confronto Comune-operatori.

Ferrari ha poi fatto alcune proposte specifiche: per esempio garantire un'immediuata visibilità nelle code delle vetture alla Stazione ed in Piazza Nettuno circa quale sia la macchina capofila, quella libera-cioè- sulla quale salire.
E, soprattutto, favorire file ordinate dei clienti soprattutto dove-come in Piazza Nettuno- mancano corrimano od altri indicatori lungo i quali ordinare la fila in attesa.

Per ufficio stampa
Maria Busi


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Dibattito sul Bilancio 2006 del Comune di Bologna
Mercoledì 28 XII 2005
Aula del Consiglio comunale.
Intervento del Consigliere Davide FERRARI

"Bilancio 2006.Le questioni politiche più rilevanti. La Finanziaria ed i Comuni. Il confronto con le Organizzazioni Sindacali.
Il voto dei 9 Quartieri.
Alcune questioni di merito prioritarie: Aldini, Cultura, Aule Scuola-Territorio".

Desidero innanzitutto partire, cari colleghi, da alcune affermazioni che riguardano forse più che il bilancio stesso, gli avvenimenti che hanno tenuto banco attorno al bilancio, a partire da questioni ad esso inerenti, per raggiungere una dimensione propriamente politica.
Io credo molto alla concretezza delle scelte amministrative, ma non vi è dubbio che talvolta esse acquistano inevitabilmente una caratura di ordine più generale.
In primo luogo voglio ricordare qualcosa che non ho visto molto citato in questi ultimi giorni, ma che pure non dovremmo dimenticare, cioè che l’Unione, cioè l’insieme delle forze di centrosinistra che regge la maggioranza anche qui a Bologna, ha compiuto consapevolmente la scelta di anteporre alla risoluzione di nodi pur decisivi ancora aperti la presentazione, la discussione del bilancio, la sua condivisione in Giunta, la presentazione e la votazione del bilancio nei Quartieri e infine questa discussione e la votazione che ne seguirà.
Tutti voi sapete a che cosa faccio riferimento, si può citare sicuramente il tema più rilevante e complesso, quello della legalità.
E' stata questa una scelta giusta, di concretezza e di senso di responsabilità.
Questo perché, colleghi, serve un’Unione larga ed unitaria, una maggioranza unitaria, responsabile, ma anche che si mantenga ampia nei suoi confini politici, una Unione che non prenda – come qualcuno, che non vuole bene al centrosinistra, pure spera – una configurazione a gironi, divisa in quelli più vicini al "primo motore" all’azione di governo e quelli più lontani, la sinistra più radicale.
No, occorre mantenere una configurazione salda, unitaria, basata sulla discussione comune a monte e a valle dei provvedimenti e delle grandi scelte.
Guardate, questo serve molto alla città e proverò a dirlo anche con esempi concreti parlando poi del merito delle scelte di bilancio, ma serve anche a qualcosa di più grande della nostra stessa discussione. Voglio citare qui, è presente in aula e lo faccio volentieri, il collega Presidente Mazzanti del Gruppo dei Riformisti, della Margherita, che ha detto una cosa molto importante, secondo me, all’indomani della presentazione fatta dalla Giunta di questo bilancio.
Ci ha ricordato che questo dibattito sul bilancio ha sancito ancora una volta la drammatica necessità di un cambio di governo nazionale, non di altro stiamo parlando. Sono d’accordo ma mi permetto di aggiungere questa considerazione al ragionamento che prima ho fatto, cioè alla necessità politica imprescindibile di mantenere una larga alleanza di centrosinistra.
Qui non si tratta di una dialettica, quella che si è aperta fra le città, le Province e la sede nazionale, già vista, non si tratta di un indistinto gridare "al lupo" per la mancanza di risorse. No, si tratta di qualcosa di assai diverso. Un Governo in fuga ha deciso di lasciare, come certi avventori truffaldini, le valige vuote puntate con il martello e i chiodi nell’albergo dove aveva avuto sede.
Questo è il punto: un bilancio fatto di vincoli di spesa insostenibili e di valigie vuote per le politiche sociali, dell’istruzione, della cultura, per il grande interfaccia tra le istituzioni e i cittadini, che sono appunto i Comuni d’Italia.
Tra essi certamente il nostro, che ha le difficoltà in più che derivano da un bilancio storicamente impegnato in servizi e dove, quindi, i vincoli di spesa hanno un effetto assai più drammatico che in altre realtà, dove ogni volta, di ciclo politico in ciclo politico,talvolta persino di anno in anno, si decide come investire le risorse.
Chi ha obblighi, per fortuna, pregressi dalla storia, ha ovviamente assai più difficoltà a gestire la politica delle valigie vuote e del vincolo di spesa.
Di fronte a questa considerazione, se questa considerazione, mi rivolgo anche ai colleghi del centro destra, ha un senso, è chiaro che deve scattare una volontà di governo molto forte, innanzitutto rinsaldando la maggioranza qua a Bologna, ma anche però auspicando finalmente un’epoca di diverso governo per il nostro Paese, questo ci dice la discussione in corso sul bilancio anche e soprattutto qui a Bologna.
Devo dire che mi pare che si sia cercato di sfuggire questo punto, in diversi modi, da parte di alcuni colleghi del centro destra, anche i più competenti.
Io proverò a citarne un collega in particolare, il collega Galletti di cui apprezzo moltissimo la competenza tecnica e non da oggi.
Bene il collega ha cercato in sostanza di riportare al già visto, a una discussione vecchia il confronto in atto fra le città e il governo sulla finanziaria, sui bilanci agli enti locali.
Non si può cari colleghi.
Al collega Galletti vorrei dire di impegnare la sua competenza nella battaglia per l’autonomia dei Comuni, non nella impossibile arrampicata sugli specchi per dimostrare che il taglio della spesa è inesistente o comunque si può fare a meno di considerarlo.
Sembra un po’, quando fa questo, Galletti, il famoso Don Ferrante, che a forza di negare la possibilità filosofica della peste, infine di peste morì.
Perché colleghi, certo non augurando a nessuno questa fine, sappiamo che noi tutti dobbiamo vivere in una città come Bologna, ed è interesse di tutti, anche dei nostri specifici elettorati di riferimento il fatto che si salvi quello che è il nucleo fondante della nuova Repubblica, cioè l’autonomia delle città e dei Comuni. Se questa viene travolta dai tagli di spese, che cosa resta di tutta una stagione che sia pure con orizzonti diversissimi, non ha portato avanti solo il centro sinistra, ma anche il centro destra, una stagione nella quale vi è stato il pensiero della riforma della Pubblica Amministrazione e dello Stato.
Cosa ne resta colleghi, di fronte ai tetti obbligatori di spesa? Di fronte alle percentuali fisse di incremento e decremento delle varie voci? Ecco allora questa battaglia doveva vederci assieme. Invece così non è stato. Almeno finora. Ascolterò i prossimi ed ultimi interventi del centrodestra, con attenzione, per verificare se vi sarà un mutamento di indirizzo, a questo proposito.
Ma se già vi fosse stato, almeno nei suoi spunti generali, ne avrebbe certo guadagnato la nostra stima, colleghi del centrodestra, nei vostri confronti.
Ma non è questo il punto.
Mi rivolgo a "La Tua Bologna", ne avrebbe guadagnato in evidenza la vantata caratteristica di centro di questa forza politica,questo è il punto.
Facendo invece l’opposizione, semplicemente l’opposizione locale, anche su un punto così grave come l’impossibilità di spendere per i Comuni, si scivola nella destra, si scivola cioè in quello che è, almeno in questo frangente, lungi da me ipotizzare scenari futuri, fuori dalla possibilità di incidenza politica.
Questo è quello che io temo e voglio segnalare con un dialogo fatto di aspra verità, per quanto mi riguarda, di aspro confronto ma anche però di interesse per ogni spunto diverso che potesse, ma io mi auguro possa ancora venire.
E voglio citare un’altra questione molto importante, che ha tenuto banco in queste giornate, che è quella del confronto con le organizzazioni sindacali.
Vedete, io innanzitutto penso che occorra valorizzare il positivo accordo sulle relazioni sindacali che è stato firmato proprio si può dire contestualmente alla presentazione di questo bilancio, ed io dico non a caso.
E voglio ricordare a noi tutti che il confronto difficile, il conflitto, nel senso ovviamente letterale del termine, che si è prodotto in queste ultime giornate, innanzitutto è figlio di una scelta del governo quale quella che prima ho ricordato.
Ricordiamo: c’è stato nel governo persino chi ha detto apertamente: sposteremo in periferia la conflittualità sociale, i cittadini non si rivolgeranno solo a noi ma avranno di fronte altri che dovranno spiegargli le difficoltà finanziarie.
Bene, se questo si voleva, qualche volta è sembrato si fosse addirittura raggiunto.
Sta a questa maggioranza e all’istituzione Comune nel suo complesso, alla Giunta, certamente al Sindaco, fare ogni passo ulteriore per evitare che questa manovra tremontiana abbia su questo fronte successo.
Ripeto, dobbiamo partire dal positivo accordo sulle relazioni sindacali,e andare oltre.
E’ possibile mi pare, vedendo gli atti che andremo a votare anche in questa sessione, vedendo quei passi in avanti che sono negli ordini del giorno unitari della maggioranza, che vanno interpretati esattamente come tali, senza alcuna polemica inutile con il movimento sindacale.
Alcuni passi in avanti sono rilevanti e non possono non avvicinare il mondo del lavoro e l’amministrazione.
Penso a quello importante sulla questione delle Aldini-Valeriani, coerente con l’apertura che l’assessore Virgilio aveva pure posto durante la trattativa e coerente anche però con le richieste che sono venute dalle parti più mature del movimento di protesta che pure vi è stato, e ha posto la necessità di salvaguardare un bene di tutti, per il futuro non solo per la storia della città.
Ecco, se riusciremo a fare questo passo in avanti, attenzione, esso dovrà essere finalizzato a creare le condizioni ed il consenso di partenza per arrivare ad una situazione nuova, che veda un concorso sociale nel finanziamento di questo istituto.
Possiamo prendere questa questione ad esempio di quella necessità più vasta di allargare socialmente il bilancio, che richiederà un’iniziativa di governo e anche di relazione sociale di ognuno di noi, certo con diverse responsabilità.
Certamente dal Sindaco fino – mi ci metto io – all’ultimo dei Consiglieri.
Occorre un’iniziativa inedita, molto ampia nella città di Bologna, cogente, capace di far sentire la comunità e non soltanto l’istituzione impegnata sulle poste più difficili e scoperte di bilancio.
Ecco, quindi io credo che con questo senso positivo i passi in avanti che potremo fare al termine di questa discussione con le votazioni, devono essere finalizzati proprio ad una ripresa del confronto e del dialogo, in primo luogo con le organizzazioni sindacali.

(N.B. Sulle Aldini vedi oltre. N.d.R)
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Cari colleghi, sarà un po’ più lunga la terza citazione che voglio fare.
Riguarda dei protagonisti, a mio avviso, un po’ dimenticati, ma essenziali ancora una volta della vita di questo Comune nel determinare il bilancio, e sono i nove Quartieri di Bologna.
Sono andato a leggere, a studiare, i documenti con i quali sono stati accompagnati i voti sul bilancio, devo rilevare, tutti e nove, positivi.
Guardate, io ho trovato una ricchezza di riferimenti e una mancanza di ogni qualsiasi volontà di nascondere i problemi, che dimostra la maturità e la serietà di una classe di governo, di una compagine allargata di governo, ma dimostra anche un’altra cosa: dimostra la volontà di confrontarsi apertamente con i cittadini, che già è stata compiuta in una lunga parte di dibattito in questo mese, a cui ha partecipato con grande impegno e voglio dargliene atto l’assessore Bottoni assieme agli altri Assessori della Giunta, ma anche una volontà di promuovere il confronto sociale che andrà più avanti nel tempo.
A questo sono finalizzati molti argomenti inseriti nelle delibere votate dai Quartieri, che sono assai rilevanti.
Ne voglio citare alcuni, ma non vorrei fare torto a nessuno: la sintesi chiara dei rapporti fra bilancio del comune di Bologna e precarietà del lavoro e precarizzazione della condizione economica di tante fakmiglie citata da Borgo Panigale, i temi degli asili nido citati fra gli altri dal Quartiere Saragozza, i temi dell’edilizia popolare, citati da molti Quartieri fra cui San Donato, i temi di profonde iniziative urbanistiche ricordati dal Quartiere Navile con la consueta sapienza, ma anche dal Quartiere Savena.
Poi il Quartiere San Donato che ha votato un lungo e importante documento sul decentramento, le richieste del Quartiere San Vitale ed altri per la ridefinizione dei procedimenti per arrivare ai budget, e Santo Stefano, che ha richiamato i temi dell apolitica del territorio, della collina, le politiche della cultura, e ancora Savena che ha ricordato l’importanza delle aule didattiche nel territorio, nei musei, sulle quali tornerò in conclusione.
E il Quartiere Reno che ha riportato interessanti e più ampie analisi sui temi più gravi del sociale e del mondo dell’educazione.
Sono tanti i punti, ma certo è che non si è trattato, colleghi, di una discussione irenica e vuota. Andiamo assieme a rileggere questi documenti, potrebbero essere non certo l’unico, ma uno dei canovacci sui quali costruire l’iniziativa di governo a partire dai primi mesi del prossimo anno.
E però, colleghi del centro destra, l’invito a rileggere questi documenti, vista anche la loro ricchezza, il loro non nascondimento, vale anche per voi, colleghi del centro destra, perché non bisogna dimenticare che queste indicazioni hanno accompagnato e non sostituito un convinto voto favorevole, dandogli anche il senso di un impegno e di una volontà chiara, esplicita, di mantenere salda questa maggioranza, tema che prima ho richiamato.
E quali sono i punti che hanno sostanziato il voto favorevole dei nove Quartieri?
Ripercorrerli mi consente di associarmi a questo loro voto.
In primo luogo, l’apprezzamento per le scelte contenute nel bilancio di previsione presentato dalla Giunta, che pur in presenza, come si è detto, di tagli rilevanti ha mantenuto inalterate le tariffe e assicurato ai Quartieri le stesse risorse del 2005, in un Comune come quello di Bologna, ci dicono i Quartieri, che ha un alto livelli di servizi, si è trattato di una scelta onerosa, difficile da gestire, ma molto importanti, nella condizione data si è trattato di una scelta politica coraggiosa, sì, ma pure ci viene ricordato per certi aspetti obbligata.
Io ho assistito in questi giorni ad alcune rocambolesche ricostruzioni circa tasse di scopo, di sub-scopo o sulla riarticolazione possibile dell’impegno delle entrate, ma quello che ci viene comunque detto – cito il documento di Borgo, quello di Navile – è che un’ulteriore pressione fiscale sarebbe stata difficile da sostenere in un momento di forte precarietà del lavoro, di difficoltà economica dei bilanci familiari e di ristagno dell’economia della nostra città e del territorio nel quale essa è inserita.
Quindi non è stata scelta da poco quella di cercare di equilibrare, questo è il centro delle politiche di bilancio che la Giunta propone, i dati confliggenti della mancanza di possibilità di spesa, delle risorse comunque limitate e del mantenimento sostanziale della pressione fiscali ai livelli fissati dai bilanci precedenti. Un mantenimento sostanziale, ribadisco, che laddove sono avvenuti aumenti li ha mirati a erodere qualcosa di quel reddito di surplus che è possibile erodere, quella consistenza patrimoniale che considerate le abitudini delle famiglie ad avere più membri proprietari di casa tocca chi, quasi sempre, ha ben di più della seconda casa in proprietà..
Ecco allora che la conclusione che traggono i documenti dei Quartieri e che anch’io condivido, è sintetica ma seria: in primo luogo che l’Amministrazione comunale ha inteso far rispettare, pure nelle avversità legislative, i termini del 31/12/2005 per l’approvazione di bilancio, non facendo ricorso all’esercizio provvisorio per l’anno 2006, e poi che gli effetti della legge finanziaria hanno comportato una riduzione pari a 37 milioni di euro, poi la concretezza della proposta di bilancio con la riduzione effettiva che qui l'Assessore Bottoni ci ha più volte richiamato, il sistema delle entrate che ha risentito di una significativa erosione per l’azzeramento dell’imposta ICI, per gli immobili ecclesiastici e per gli Enti di no profit, il mancato introito dell’ICI per il trasferimento del patrimonio ACER, poi via via, la scelta sulla Tarsu.
In sostanza a fronte di questo insieme di elementi, ha meritato fiducia una politica accorta che è quella di concludere l’itinerario di bilancio in tempo utile, non innalzare la pressione fiscale, aprire una trattativa con la città sulle tante voci in sofferenza e per quanto riguarda gli investimenti, la scelta netta della priorità della manutenzione delle nuove realizzazioni di edilizia scolastica. Io credo che sia questo il corpo delle indicazioni che ha meritato la fiducia dei Quartieri e merita anche, per quanto mi riguarda, la mia.
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Ciò detto, colleghi, io penso – già un po’ lo anticipavo – che occorra una riflessione ulteriore, a fronte di quello che è accaduto, per indicare anche come su alcuni termini di priorità sia possibile fare alcuni passi in avanti. Delle Aldini ho già detto, ma della scuola in generale e degli Istituti comunali in particolare si potrebbe parlare a lungo, cari colleghi.
Basti dire solo una cosa: se non saremo in grado di realizzare una proposta di scuole della comunità che, sia per caratteristiche organiche, per forme istituzionali, capaci di reggere, sia per risorse in grado di acquisire, non veda solo l’istituzione comune protagonista, oppure i problemi di quest’anno comunque arginati si riproporranno aumentati nei prossimi anni.
Questo vuol dire esattamente il contrario di una privatizzazione o di una resa, vuol dire che l’ente pubblico deve essere in grado di fare egemonia, indicando quello che è un suo obiettivo, e cioè il mantenimento e il rilancio di uno strumento formativo così importante per la produzione a Bologna e nella Provincia di Bologna, come un oggetto di investimento da parte appunto del sistema economico, produttivo e sociale di questa città.
Non sarà facile, ma è questa la proposta che può consentire da subito l’apertura di un tavolo per la raccolta delle risorse. Sulla cultura si è detto molto, anche se si è detto soprattutto al momento della presentazione del bilancio e credo che il fatto che l’argomento sia stato un po’ stato derubricato, sia dovuto proprio alle responsabilità dell’assessore Guglielmi.
Vede Assessore, se lei continua a fornirci iniziative di grande rilievo, quale quelle ad esempio che abbiamo visto in Sala Borsa con la presenza del professor Edoardo Sanguineti, sarà difficile per noi Consiglieri riportare al centro della richiesta di ulteriori finanziamenti questo settore.
Questa non è una frase da cicisbei, è la realtà.
Bisogna ricordare che c’è stata a Bologna almeno una fra le tante svolte di cui la città si è pienamente accorta, siamo passati dal provincialismo delle finte inaugurazioni, alla possibilità di vedere a Bologna degli avvenimenti di grande significato che hanno arricchito, credo, tutti noi.E infatti ho visto lietamente tante vostre presenze, di tutti voi, a queste iniziative.
Questo non toglie che dobbiamo considerare questi eventi anch’essi come un servizio, e allora se la scelta è quella di difendere i servizi anche il servizio di offrire alla città esempi di "attualità della cultura" è molto importante per la nostra città e deve restare al centro del nostro interesse prioritario.
E infine vorrei citare una terza questione,non ultima certamente fra quelle più vicine alla mia sensibilità.
Sono consapevole che tanti altri temi, basti pensare alle infrastrutture, si potrebbero forse con ancora più cogenza citare, pure vorrei proseguire nella grande area della formazione dell’istruzione e della cultura.
Voglio ricordare uno snodo tra scuola e cultura che a me sta molto, molto a cuore. Quello degli interventi per insegnare la cultura della città agli studenti ed alle scuole.

Cultura è anche diffusione e creazione del pubblico per gli avvenimenti culturali. Noi abbiamo costruito, non sempre consapevolmente, un sistema che aveva pochi uguali in Italia e ancora adesso l’ha solo in alcune zone periferiche, molto finanziate, penso ad alcune Regioni autonome che peraltro da qui hanno tratto i loro modelli per avviare le proprie esperienze, un sistema formidabile per avvicinare il sistema museale, teatrale, della produzione culturale, agli studenti di questa città a cominciare dalle prime età.
Oggi abbiamo dei segni 0, non dei meno, alle voci di bilancio che sono inerenti, dalle aule didattiche decentrate al CD-LEI.
E’ una scelta dolorosissima ma , oggi, obbligata.
Nessuno se l’è sentita di criticare l’Assessore quando l’ha presentato, quindi un perché ci sarà.
Ma attenzione, non è questa una terra di nessuno, a metà tra vari Assessorati, no, è un punto essenziale che distingueva, terminata la grande stagione dell’investimento diretto di personale nel Tempo pieno, delle scuole elementari, distingueva con centinaia di unità di organico impegnate, la nostra città fra coloro che hanno a cuore la creazione fin dall’inizio di un clima, di un humus di cultura diffusa nella nostra città.
Vedete, noi, a Bologna abbiamo almeno tre città.
E’ paradossale, ma due, che certo convivono con difficoltà, quella dei "bolognesi bolognesi" e quella dei nuovi cittadini migranti, tutto sommato dei punti di contatto fra loro ce li hanno e molti, e importanti, ma è invece con la terza città, quella degli universitari, che vediamo mancare molto spesso, al di là della coabitazione necessaria, un punto di contatto, di coesione sociale, di impegno condiviso nell’impegno per costruire una comunità più avanzata.
Bene, formare il pubblico della cultura diffusa, fin dall’inizio, dall’età scolare, entrare con questo obiettivo nella vita e nei percorsi di crescita dei cittadini bolognesi,fin da bambini, vuole dire anche costruire domani una città che possa essere sede universitaria in tutti i sensi, perché all’altezza di quei 60 mila ospiti che sono nella nostra città per studiare, che sono quindi intellettuali organici ormai a un progetto di vita basato sulla cultura e lo saranno in qualche modo per tutta la loro esistenza.
Ecco quindi, io ho citato tre questioni, qualcuna è stata più ripresa nei giorni scorsi, qualcuna meno, ma di tante dovremmo parlare non perché si possano rifare i conti e moltiplicare le risorse disponibili, facendo come Pancho Villa che stampava i pesos in cantina. Sappiamo che le risorse sono poche. Però potremo fare i conti anche con la nostra volontà e non soltanto con la moneta che pure è così necessaria. Se avremo la volontà di tenere assieme una maggioranza larga, forte, di rinnovamento per questa città, saremo all’altezza delle tre "città di Bologna" per portarle all’inizio di questo nuovo 2006, pur sapendo le difficoltà, a una nuova meta, una nuova stagione di buon governo.


(Resoconto stenografico)
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