mercoledì 20 dicembre 2006

Comune. Margherita ritira emendamento coppie sposate.

Consiglio comunale di Bologna
Il consigliere
Davide Ferrari

NOTA STAMPA
Bologna, 20 dicembre 2006

Davide Ferrari, della Segreteria reg. DS, dopo l'approvazione in serata del nuovo regolamento ERP in Consiglio comunale, ha dichiarato,:
" Ho molto apprezzato il ritiro dell'emendamento, sulle coppie unite in matrimonio, da parte del gruppo consiliare della Margherita e le motivazioni serie con il quale lo ha motivato il consigliere Natali.
E' un atto giusto che non interpreto, da laico, come rinuncia alle proprie convinzioni ma come la volontà di trovare le scelte di governo condivise e maggioritarie che possano corrispondervi. E' un atto unitario che incoraggia quanti, e sono la stragrande maggioranza, nei due partiti e nella società civile, soprattutto a Bologna, vogliono un Ulivo forte ed unito. Un obiettivo che vale più di ogni altra cosa."

Auguri

S. Natale 2006
Anno nuovo, 2007





La serenità, in una nazione che deve ritrovarsi,
è l'augurio di queste festività,





perchè sia possibile è necessaria






la laicità,

garanzia di rispetto e convivenza.






Davide Ferrari






www.davideferrari.org

martedì 19 dicembre 2006

La Bologna che vogliamo
di Davide Ferrari


"Presepio di Wolfango: basta coi braghettoni"

I giornalisti, sempre presenti a Palazzo d'Accursio, mi hanno chiesto cosa pensassi del Presepio del pittore e scultore Wolfango Peretti Poggi.
Quello, ormai famosissimo, con la drammatica immaginetta di Moana Pozzi inseguita dalla morte. Ritenevo già superata la polemica sulla statuina di Wolfango, e non ho risposto con immediatezza e soddisfazione. Quasi con riluttanza, invece. Tuttavia, quando ho visto, il Lunedì 18 di questo mese di dicembre, che, addirittura in Consiglio comunale, la destra ha inscenato una manifestazione di protesta contro quella immagine, ho avuto voglia di rincarare.
Gli atei devoti non imparano mai. Ogni volta la storia si ripete, fino alla farsa strapaesana.
A questo punto occorre dire basta. E' evidente a tutti che gli scandalizzati poco hanno a che vedere con un sentimento religioso, che rispetto anche perchè è anche il mio, ma moltissimo con una sfacciata ricerca di visibilità di esponenti politici.
A costoro ho detto che, a Bologna, i "braghettoni", (le copertura del nudi artistici), non piacciono a nessuno. L' affluenza di pubblico alla mostra del Presepio lo conferma. Facendo gazzarre come quella vista in Consiglio danneggiano anche i loro stessi partiti. Fra dieci anni chi ci sarà sorriderà delle loro piccolissime diatribe.
Non so se quel Presepio è un'opera immortale ( e cosa lo è?) ma certo merita di essere visto per scoprire i volti e le caricature, quasi sempre delicate ed amabili, di tanti personaggi della nostra città e della nostra vita.
Se invece qualcuno volesse fare una bella battaglia contro la pornografia che ci assedia, contro un consumismo sfrenato che riduce, da decenni e sempre di più, il corpo dei giovani a merce, eccomi qua, io sono pronto.
Nel farla ci troveremo presto di fronte gli studi TV di Cologno Monzese . Non saranno gli unici "nemici", ma certo far passare l'impero della mercificazione, la roccaforte dei torsi alla brillantina dei protégés di Lele Mora e dei didietro allo smeriglio delle ochette dei Mammuccari, e soprattutto il partito del piccolo re del cattivo gusto televisivo come gli alfieri del senso offeso del pudore è veramente ridicolo.
Un mio amico sociologo mi ammonisce. "Attenzione"- mi dice, "i berlusconidi assomigliano molto agli italiani, che vogliono trasgredire e poi inginocchiarsi. Non li sottovalutare", insiste.
Forse ha ragione. Ma, almeno noi bolognesi, facciamo così: trasgrediamo (senza esagerare), inginocchiamoci e poi, a chi vuol farci la morale, con i gemelli dorati ai polsi e il cerone sul viso, facciamo una bella pernacchia.

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davideferrari@yahoo.com

ERP. Il nuovo regolamento. La polemica sulle coppie di fatto.

Consigliere FERRARI:
Io ho chiesto di intervenire, Presidente, avendo ascoltato con molta attenzione gli interventi che mi hanno preceduto, intervento che durerà pochi minuti, per sollevare un punto al dibattito che consegno ai colleghi che abbiano l’intenzione e la cortesia di ascoltarmi.
Quando si parla di edilizia a sostegno di condizioni di vita fondamentali, come appunto l’ERP, io credo che innanzitutto non andrebbe mai dimenticato che noi parliamo di qualcosa che non è sufficiente.
Qualcuno forse pensava alla fine degli anni Ottanta che le modifiche negli assetti proprietari delle famiglie, l’espansione degli alloggi in proprietà, fenomeno così tipico del nostro Paese, non so quanto positivo, che nasce da particolarissime situazioni del nostro stato sociale, molto legato ai percorsi individuali o familiari, meno a provvidenze più organizzate e più strutturali. Ci ricordava qualcuno nel dibattito sulla Finanziaria la grande differenza su un welfare italiano che vede appunto tanti alloggi in proprietà e poi una condizione spaventosa di chi non può arrivarvi, rispetto al caso tedesco che vede invece collegato a tutta la tematica dei fondi pensione e della cogestione un enorme numero di alloggi a residenzialità protetta, incrementata, legata alle condizioni di lavoro.
Bene, si poteva pensare che questa emergenza non sarebbe più stata tale, invece abbiamo visto che è andata crescendo. Noi abbiamo fatto come Commissione una serie di audizioni dove, anche con pareri diversi, è emerso questo dato anche rispetto a una città come Bologna.
Innanzitutto senza dubbio per le condizioni anche particolari della nostra città, con le presenze di nuovi cittadini ma anche degli studenti, la superfetazione dei prezzi degli alloggi in affitto… tutto quello che sappiamo, l’enorme bolla speculativa che ha fatto gonfiare grandemente il valore degli alloggi in compravendita, tutto giusto.
Ma io penso, colleghi, e vengo al punto che stiamo dibattendo oggi, in questa condizione di penuria perché di questo si tratta. Noi dobbiamo regolamentare, e lo facciamo, al meglio le nostre risorse, anche con meccanismi nati dall’esperienza, che l’Assessore ha illustrato con intelligenza come sempre, e con sapienza di governo; ma noi siamo portati a queste modifiche, a questi snellimenti procedurali, a questa regolamentazione più limpida perché, ripeto ancora, siamo in regime di carenza.
E lo siamo – questo è il punto – perché sono cambiate le famiglie: la struttura che vede la sicurezza collegabile unicamente alla proprietà, la struttura familiare, non è più quella di 15 - 20 anni fa.
E non c’è nulla da fare. Questo non tanto per le diversità di orientamento sessuale ma per le diversità dei ritmi dei cicli di vita, le diversità rispetto alla stabilizzazione dei matrimoni. Guardate, io pochi minuti fa leggevo questa statistica del Sole-24 Ore, che tra l’altro vede Bologna distinguersi positivamente, e un dato mi ha impressionato: può sembrare una banalità, non sembri un colpo basso, lo dico ai colleghi della Margherita, ma la provincia di Lodi è quella che ha – la vogliamo dire così? – la peggiore risultanza statistica rispetto al numero della popolazione. La provincia di Lodi, quella che ha la massima espansione nel nostro Paese di istituzioni culturali, sociali, ricreative e caritative ecclesiali. Fino a una pervasività. E’ una realtà che conosco molto bene perché vi ho lavorato: è una realtà dove davvero, ma positivamente, si vive in questo clima dove l’idealità, un riconoscimento comunitario così forte… Ebbene troviamo questo dato. Ecco allora che forse siamo in presenza di fenomeni certo non positivi, che non dobbiamo celebrare come fossero indici di per sé di libertà, perché una famiglia che rovina, una coppia che si divide, un’articolazione diversa nelle strutture familiari non è detto che sia un bene, anzi spesso è un male, però si tratta di fenomeni che sono tali e tali a noi di fronte, e che quindi implicano da un lato una politica molto articolata di espansione del mercato dell’affitto e dall’altro che cresca la quota di disponibilità di alloggi pubblici. Ma si dirà “non è questo il tema, noi stiamo parlando del regolamento di ciò che abbiamo”. Ma colleghi, io ho sentito tante voci critiche sugli strumenti finanziari governativi e su questo punto non ho sentito una grande animazione; forse è stato un errore, lo dico anche autocriticamente. Penso invece che a salvaguardia del mercato, a salvaguardia dell’articolazione come essa è della vita sociale e familiare odierna, anche in una città bella e ricca come Bologna, debba crescere il numero delle disponibilità - accanto a quello sotto altri strumenti, per carità - di alloggi di Residenza Pubblica.
Ecco, allora vedete, giungo al punto, scusate la premessa che è quasi tutto l’intervento ma credo che non fosse peregrina: dico a tutti noi, a me per primo, non voglio fare il “Grillo parlante”, per carità, attenzione, perché se il punto è questo - e francamente, colleghi, credo difficile essere smentito - cioè che il punto quando si parla di ERP è che aumentato il fabbisogno e non siamo in grado di rispondere alle domande, attenzione perché se mandiamo segnali, qualunque essi siano, che invece ci sarebbe la possibilità ma qualcuno la nega perché pensa anche ad altri, è la fine, colleghi.
E’ la fine di una possibilità di dare trasparenza e visibilità di governo a una politica sull’Edilizia Residenziale Pubblica. Questo mi interessa assai di più di una discussione molto difficile sul matrimonio costituzionale, sui nuovi generi di famiglie… cose importantissime e appassionanti, in cui io certamente sono per i diritti degli individui, ci mancherebbe altro, ma credo che il punto sia un altro. E cioè una responsabilità di governo impone – impone! - che venga evitato ad ogni costo l’agitarsi confuso di una nuova leggenda metropolitana: “ci sarebbero ma non ce li vogliono dare, li hanno altri prima di noi”. Non è così, colleghi. Non è così.
Credo che questo punto sia molto rilevante rispetto alla questione degli immigrati, dove si connota immediatamente di tensioni sociali che ben possiamo comprendere, ma, attenzione, anche rispetto alla dialettica fra generazioni e alla diversità delle forme di vita familiari.
Ecco, questo è un punto su cui occorre rispondere.
Penso inoltre che sarebbe molto interessante - e mi riservo magari in altra sede di approfondire - vedere, perché pochi lo sanno, cosa già fa un Comune come Bologna a sostegno del matrimonio.
Può darsi che non siamo abituati a scriverlo sui manifesti, può essere, ma guardate che se noi facessimo un elenco di tutti gli interventi sociali costruiti proprio col criterio dell’universalità del diritto e non della specificità, e proprio per questo mantenuti nonostante tutte le crisi finanziarie ancora forti a Bologna, avremmo di Bologna un’immagine che è fra le più rispondenti a quel dettato costituzionale di sostegno al matrimonio e alla vita familiare serena, fondamento della nostra Repubblica. Credo che questo sarebbe interessante andare a vederlo. Penso quindi che anche su questo terreno intanto per dirlo ai cittadini ma un domani anche laddove si rilevino davvero criticità, cioè a fronte non di penuria ma di possibilità reali di un investimento maggiore, sarebbe interessante assieme – è una proposta che faccio - andare appunto ad una verifica e magari intervenire ancora più nettamente a sostegno della figura familiare. Termino qui. Ho pronunciato poche parole, colleghi, ma se noi stiamo al merito sentiamo la responsabilità di governare, forse più fortemente che non se affrontiamo diversamente, solo per via di riferimenti pregiudiziali, questo punto.

Intervento in Consiglio comunale, Bologna-18 XII 2006

lunedì 18 dicembre 2006

Casa, ERP eccetera... (stenografico)

Consigliere FERRARI: Io ho chiesto di intervenire, Presidente, avendo ascoltato con molta attenzione gli interventi che mi hanno preceduto, intervento che durerà pochi minuti, per sollevare un punto al dibattito che consegno ai colleghi che abbiano l’intenzione e la cortesia di ascoltarmi. Quando si parla di edilizia a sostegno di condizioni di vita fondamentali, come appunto l’ERP, io credo che innanzitutto non andrebbe mai dimenticato che noi parliamo di qualcosa che non è sufficiente. Qualcuno forse pensava alla fine degli anni Ottanta che le modifiche negli assetti proprietari delle famiglie, l’espansione degli alloggi in proprietà, fenomeno così tipico del nostro Paese, non so quanto positivo, che nasce da particolarissime situazioni del nostro stato sociale, molto legato ai percorsi individuali o familiari, meno a provvidenze più organizzate e più strutturali. Ci ricordava qualcuno nel dibattito sulla Finanziaria la grande differenza su un welfare italiano che vede appunto tanti alloggi in proprietà e poi una condizione spaventosa di chi non può arrivarvi, rispetto al caso tedesco che vede invece collegato a tutta la tematica dei fondi pensione e della cogestione un enorme numero di alloggi a residenzialità protetta, incrementata, legata alle condizioni di lavoro. Bene, si poteva pensare che questa emergenza non sarebbe più stata tale, invece abbiamo visto che è andata crescendo. Noi abbiamo fatto come Commissione una serie di audizioni dove, anche con pareri diversi, è emerso questo dato anche rispetto a una città come Bologna. Innanzitutto senza dubbio per le condizioni anche particolari della nostra città, con le presenze di nuovi cittadini ma anche degli studenti, la superfeTtazione dei prezzi degli alloggi in affitto… tutto quello che sappiamo, l’enorme bolla speculativa che ha fatto gonfiare grandemente il valore degli alloggi in compravendita, tutto giusto. Ma io penso, colleghi, e vengo al punto che stiamo dibattendo oggi, che questa penuria… Perché di questo si tratta. Noi dobbiamo regolamentare, e lo facciamo, al meglio le nostre risorse, anche con meccanismi nati dall’esperienza, che l’Assessore ha illustrato con intelligenza come sempre, e con sapienza di governo; ma noi siamo portati a queste modifiche, a questi snellimenti procedurali, a questa regolamentazione più limpida perché, ripeto ancora, siamo in regime di penuria. E lo siamo – questo è il punto – perché sono cambiate le famiglie: la struttura che vede la sicurezza collegabile unicamente alla proprietà, la struttura familiare, non è più quella di 15 - 20 anni fa. E non c’è nulla da fare. Questo non tanto per le diversità di orientamento sessuale ma per le diversità dei ritmi dei cicli di vita, le diversità rispetto alla stabilizzazione dei matrimoni. Guardate, io pochi minuti fa leggevo questa statistica del Sole-24 Ore, che tra l’altro vede Bologna distinguersi positivamente, e un dato mi ha impressionato: può sembrare una banalità, non sembri un colpo basso, lo dico ai colleghi della Margherita, ma la provincia di Lodi è quella che ha – la vogliamo dire così? – la peggiore risultanza statistica rispetto al numero della popolazione. La provincia di Lodi, quella che ha la massima espansione nel nostro Paese di istituzioni culturali, sociali, ricreative e caritative ecclesiali. Fino a una pervasività… E’ una realtà che conosco molto bene perché vi ho lavorato: è una realtà dove davvero, ma positivamente, si vive in questo clima dove l’idealità, un riconoscimento comunitario così forte… Ebbene troviamo questo dato. Ecco allora che forse siamo in presenza di fenomeni certo non positivi, che non dobbiamo celebrare come fossero indici di per sé di libertà, perché una famiglia che rovina, una coppia che si divide, un’articolazione diversa nelle strutture familiari non è detto che sia un bene, anzi spesso è un male, però si tratta di fenomeni che sono tali e tali a noi di fronte, e che quindi implicano da un lato una politica molto articolata di espansione del mercato dell’affitto e dall’altro che cresca la quota di disponibilità di alloggi pubblici. Ma si dirà “non è questo il tema, noi stiamo parlando del regolamento di ciò che abbiamo”. Ma colleghi, io ho sentito tante voci critiche sugli strumenti finanziari governativi e su questo punto non ho sentito una grande animazione; forse è stato un errore, lo dico anche autocriticamente. Penso invece che a salvaguardia del mercato, a salvaguardia dell’articolazione come essa è della vita sociale e familiare odierna, anche in una città bella e ricca come Bologna, debba crescere il numero delle disponibilità - accanto a quello sotto altri strumenti, per carità - di alloggi di Residenza Pubblica. Ecco, allora vedete, giungo al punto, scusate la premessa che è quasi tutto l’intervento ma credo che non fosse peregrina: dico a tutti noi, a me per primo, non voglio fare il “Grillo parlante”, per carità, attenzione, perché se il punto è questo - e francamente, colleghi, credo difficile essere smentito - cioè che il punto quando si parla di ERP è che aumentato il fabbisogno e non siamo in grado di rispondere alle domande, attenzione perché se mandiamo segnali, qualunque essi siano, che invece ci sarebbe la possibilità ma qualcuno la nega perché pensa anche ad altri, è la fine, colleghi. E’ la fine di una possibilità di dare trasparenza e visibilità di governo a una politica sull’Edilizia Residenziale Pubblica. Questo mi interessa assai di più di una discussione molto difficile sul matrimonio costituzionale, sui nuovi generi di famiglie… cose importantissime e appassionanti, in cui io certamente sono per i diritti degli individui, ci mancherebbe altro, ma credo che il punto sia un altro. E cioè una responsabilità di governo impone – impone! - che venga evitato ad ogni costo l’agitarsi confuso di una nuova leggenda metropolitana: “ci sarebbero ma non ce li vogliono dare, li hanno altri prima di noi”. Non è così, colleghi. Non è così. Credo che questo punto sia molto forte rispetto alla questione degli immigrati, dove si connota immediatamente di tensioni sociali che ben possiamo comprendere, ma anche rispetto alla dialettica fra generazioni e forme di vita familiari, attenzione. Ecco, questo è un punto su cui va risposto. Penso invece che sarebbe molto interessante - e colgo l’occasione e mi riservo magari in altra sede di approfondire ma ci sono qui colleghi bravissimi, del mio Gruppo sicuramente ma anche di altri Gruppi, e termino su questo - vedere, perché pochi lo sanno, cosa già fa un Comune come Bologna a sostegno del matrimonio. Può darsi che non siamo abituati a scriverlo sui manifesti, può essere, ma guardate che se noi facessimo un elenco di tutti gli interventi sociali costruiti proprio col criterio dell’universalità del diritto e non della specificità, e proprio per questo mantenuti nonostante tutte le crisi finanziarie ancora forti a Bologna, avremmo di Bologna un’immagine che è fra le più rispondenti a quel dettato costituzionale di sostegno al matrimonio e alla vita familiare serena, fondamento della nostra Repubblica. Credo che questo sarebbe interessante andare a vederlo. Penso quindi che anche su questo terreno intanto per dirlo ai cittadini ma un domani anche laddove si rilevino davvero criticità, cioè a fronte non di penuria ma di possibilità reali di un investimento maggiore, sarebbe interessante assieme – è una proposta che faccio - andare appunto ad una verifica e magari intervenire ancora più nettamente a sostegno della figura familiare. Poche parole, colleghi, forse ingenue, ma se noi stiamo al merito sentiamo la responsabilità di governare, forse più fortemente che non se prendiamo diversamente questo punto.
Comune di Bologna
il consigliere Davide Ferrari


Bologna, 18 Dicembre 2006

"Presepio di Wolfango: basta coi braghettoni"

Rispondendo alle domande dei giornalisti presenti oggi a Palazzo d'Accursio il consigliere ha dichiarato:"Ritenevo superata la polemica sulla statuina di Wolfango ma vedo che, ancora oggi, in Consiglio comunale, la destra ha addirittura inscenato una manifestazione di protesta contro il suo Presepio.
A questo punto occorre dire basta. E' evidente a tutti che gli scandalizzati poco hanno a che vedere con un sentimento religioso, che rispetto anche perchè è anche il mio, ma moltissimo con una sfacciata ricerca di visibilità di esponenti politici.
A costoro dico che a Bologna i "braghettoni", (le copertura del nudi artistici), non piacciono a nessuno. Facendo gazzarre come quella di oggi danneggiano anche i loro stessi partiti. Fra dieci anni chi ci sarà sorriderà delle nostre piccolissime diatribe".

P. uff. Stampa
M.Busi
La Bologna che vogliamo
di Davide Ferrari

Ulivo: dopo il 2 dicembre andare avanti con contenuti sociali più forti.

Le iniziative che vogliono confrontarsi con il progetto: "Partito Democratico", (come "nell'Ulivo Da Sinistra") sono al lavoro.
A Bologna è possibile molto meglio che altrove per l'esistenza del Tavolo dell'Ulivo, che ha già in agenda importanti scadenze.
L'Emilia - Romagna conta quando agisce per unire le fila ed andare avanti, per contenuti sociali più avanzati.
Così fa’ "pesare" la maggiore forza della sua partecipazione politica, del suo stesso personale politico, che sono reali e sono un grande patrimonio della Democrazia Italiana.
I contenuti servono e serviranno più di ogni rivendicazione di ruolo.
Possiamo fare molto qui, insieme, partiti e associazioni dell'Ulivo, quando altrove molto sembra essersi complicato e rallentato.
Ogni volta che il "progetto PD" sembra frenare ciò non si traduce in progetti alternativi ma diventa una ricaduta nell'incertezza.
Mentre l’urgenza di sostenere il Governo e rafforzare l'Unione è sempre più stringente.
La manifestazione di Roma, con il grottesco, ma significativo, "trionfo" di Berlusconi e, per altri versi, anche quella di Palermo, con il "ridotto" di Casini, devono indurre a dare più forza ai processi unitari, nell'Ulivo ed in tutto il Centro Sinistra.
Bisogna andare avanti, anche con idee critiche.
Avanti nei tempi ma anche nei contenuti.
I cortei della Destra a Roma hanno espresso fisicamente "un programma": una sorta di federazione tra quel Nord che si considera in libera uscita da ogni dovere sociale e quel Sud che pretende assistenzialismo più che sostegno.
E' necessario anche parlare a molti che erano lì, non intorbidando le proposte del Centro Sinistra, ma con i fatti, con i risultati, con la coesione dell’azione di Governo.
Per fare il PD servono atti di volontà, di direzione politica, sui contenuti altrettanto che sui tempi.
Un esempio: il Presidente della Repubblica richiama con insistenza sacrosanta all’impegno per la dignità e la sicurezza del lavoro.
Bene, proprio qui si unificano lotta al precariato e progetti di sviluppo, qui c’è un tema per governare e, nello stesso tempo mettere in movimento la società.
Un secondo esempio: il valore dell’istruzione, dell’Università e della cultura – oltre e prima del mercato – è un altro tema dove non ci sono fossati incolmabili nell’Ulivo, abissi della storia da saltare a piè pari per poter agire.
Forse la Finanziaria sarebbe stata meglio "comunicata" se si fossero messi in rilievo e non ne mancano, gli aspetti al suo interno che richiamano la sicurezza del lavoro e sarebbe stata più condivisa se si fosse puntato sull’Università e sulla scuola nel mirare l’intervento finanziario, il dare.
Portiamo in primo piano lavoro e sapere, dunque, anche qui in Emilia e a Bologna, nell’impegnativa stesura dei Bilanci degli EE.LL e nell’iniziativa politica.
Il nostro popolo è ancora disponibile a cimenti importanti. Bisogna chiamarlo ad orientarsi per scegliere ciò che cambia e unisce il paese.
E la miglior risposta, non tanto agli untorelli fischiatori, ma al clima di delegittimazione e di odio col quale "lor signori" cercano di incatenare la ripresa dell’Italia.

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L'Italia in cui viviamo
di Davide Ferrari

Bologna, il prof. Pavarini nel mirino di Report. E il mio dissenso.

Ho guardato ogni settimana, in Tv, Milena Gabanelli ed il suo "Report".
Ho goduto delle sue deunce sentendomi un cittadino vendicato dalle ingiustizie dei potenti.
Mi sono stupito delle argomentatissime individuazioni di malaffari e zone grigie della responsabilità pubblica.
Mi hanno deliziato le parole e le immagini rubate nei supposti fuori onda, le godibilissime piratate con la telecamera appoggiata dall'intervistatore sulla scrivania della vittima di turno.
Però, esattamente all'ultima puntata del ciclo del 2006 mi è spiaciuta, e moltissimo, una parte del servizio speciale sui "costi della politica".
Dopo un lungo exursus sulle infinite consulenze nella Regione Lazio, l'indagine è arrivata in Emilia. In Regione non ha trovato nulla, e ne ha dato atto, anche se un poco a mezza bocca.
Il mirino si è poi spostato su Bologna. E qui ecco trovato lo scandalo !!! La consulenza assegnata, con relativo compenso, dal Comune a Massimo Pavarini. Il prof. Pavarini, una brava persona, un uomo acuto e generoso, che si è impegnato per il Comune di Bologna sul difficilissimo tema della sicurezza è stato messo da Report alla berlina, indicato come un gaudente approffitatore delle risorse comunali.
Persino la validita scietifica del rapporto da lui consegnato al Comune ed alla città è stato ridicolizzato.
Giudici un cittadino impegnato nei Comitati contro il degrado, mandato in onda senza nome, e la Gabanelli medesima.
I cittadini hanno la mia solidarietà. Fra loro ed il rumore ed il vagabondaggio io scelgo sempre loro. Non tutti lo fanno.
Cè da dire che bisogna poi passare ai fatti, a risolvere i problemi, e propro indicazioni non banali e non genericamente permissivistiche o demagogiche forniva la relazione di Pavarini.
Ad ogni buon conto il cittadino ha espresso un parere, da confrontare, non una sentenza. Inappellabile, com'è apparsa nel montaggio del servizio Tv.
Il Sindaco ha avuto la parola per spiegare, con evidenza, non tutti gli aspetti della ricerca di Pavarini ma quelli che hanno richiesto un immediato lavoro di messa a punto delle forze dell'ordine e del loro coordinamento.
Anche questa apologia, pure dignitosa e calma, è stata presto archiviata come risibile e tautologica.
Ipse dixit. La Tv ha deciso: tutti i politici sono uguali, arraffoni e in cerca di consenso. E ancora: tutti i professori consulenti, anche se di altissimo livello, come Pavarini, sono un po' furbacchioni, apparati occulti dei politici.
Ma il risultato di campagnesiffatte sarà che sempre meno ricercatori saranno "ingaggiati" dal pubblico e sempre più da committenti privati, magari proprio su temi di rilevanza pubblica.
Non credo che l'interesse generale ne avrà beneficio.
E poi, sul caso specifico dico "No". Così non va. L'ingiustizia non mi piace anche quando colpisce "in alto".
Cara amica Gabanelli, il mestiere della denuncia civile è il più difficile. Fare giornalismo d'inchiesta è arduo e assolutamente meritorio.
Ma se alle spalle pesa una ideologizzazione, degli apriori, la cosa "non viene vagliata"- come direbbe Totò.
Mi creda: scrivere queste poche righe ha richiesto un poco di coraggio.
Tanti mi hanno espresso un pensiero simile a quello che qui esterno. Ma, come dire, "meglio tacere". Non si sa mai. Fantasmi , a voler cercare, si può finire per trovarli.
Mglio sgattaiolare via. Tanto più che la trasmissione è molto valida, nel complesso, anzi fra le più valide.
Inoltre mi sono chiesto se fosse il caso di criticare dei giornalisti "all'assalto", quando i più sono seduti e alcuni persino proni.
Ma, veda, cara Gabanelli, mi sono ricordato di aver incontrato Massimo Pavarini, a notte fonda, due inverni addietro, intento a vedere e capire i giovani, i loro orari, i problemi del rumore, a rilevare il degrado.
L'avranno pagato bene, ma ha lavorato.
E la schiettezza del professore, il suo dire così poco politico, che già credo gli siano costati molto in questa vicenda, non ritengo debbano essere motivo di una gogna mediatica nazionale senza una voce a sostegno. Una.
La mia, flebile, è qui.
Ognuno pensi quello che vuole.
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Scrivetemi a
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mercoledì 13 dicembre 2006

"Il convegno di Teheran offesa a tutto il genere umano"

Comune di Bologna
il consigliere
Davide Ferrari

NOTA STAMPA
Bo. 11 XII 2006

Davide Ferrari, della segreteria reg. DS dell'Emilia- Romagna, è intervenuto questo pomeriggio nel Consiglio comunale di Bologna, per condannare il convegno, promosso a Teheran dal governo iraniano per mettere in discussione la verità tragica dell'Olocausto.
"Esprimo la più forte e commossa solidarietà alla comunità ebraica di Bologna , alle comunità della nostra Regione. una Regione che vuole ricordare i suoi cittadini perseguitati dalle leggi razziali,deportati, uccisi nei campi di sterminio. L'offesa non è soltanto al popolo ebraico. Negare l'Olocausto, un orrore specifico e unico nella storia, un genocidio programmato nel cuore del punto più alto della civilizzazione, è una offesa a tutti gli uomini e a tutte le donne, di qualunque razza e religione. Nessuna ragione diplomatica può indurre a tacere o a sottovalutare quanto sta accadendo.La condanna più ferma ed esplicita soltanto può fermare chi si è messo in una strada senza ritorno gravida di pericoli di guerra di rilevantissime proporzioni. "
COMUNICATO STAMPA

Il bilancio della Regione Emilia-Romagna,
un segnale importante per la cultura.



Considero molto importante e positiva la dichiarazione di oggi dell'assessore Alberto Ronchi sul bilancio della Regione.

La Regione Emilia-Romagna - ha confermato Ronchi - nel bilancio che verrà approvato la settimana prossima non procederà a tagli per la cultura.

Nella difficile situazione finanziaria pubblica è un risultato non scontato, che viene raggiunto per un impegno serio di riconfigurazione degli investimenti che ha teso a rendere disponibili risorse per l’innovazione ed i punti di ricerca culturali nel territorio.

E' la riprova di un bilancio equilibrato, fra entrate e razionalizzazioni, che già era stato evidente al momento della presentazione delle sue linee di indirizzo.

Si mette in luce il carattere di riferimento nazionale della Regione Emilia-Romagna, che il Presidente Errani ha rivolto alla prioritaria attenzione verso il sapere, la scuola e la cultura.


Davide Ferrari, responsabile Cultura
della Segreteria regionale DS Emilia-Romagna



Bologna, 12 dicembre 2006

lunedì 11 dicembre 2006

Teheran e l'olocausto. No al negazionismo.

12 dicembre 2006 BOZZA

Consigliere FERRARI: Grazie, signor Presidente. Ho chiesto di intervenire perché intendevo da un lato – e questo è, credo, un sentimento molto diffuso, certamente bene al di là in questo Consiglio della mia persona – esprimere l’indignata protesta contro il titolo, le intenzioni politiche, le partecipazioni annunciate e che si stanno svolgendo, il quadro istituzionale, gli intendimenti generali del Paese proponente il convegno di sostanziale negazione dell’Olocausto che si sta svolgendo a Teheran. Sono sicuro che questi sentimenti sono diffusi e quindi sicuramente in tante forme anche in queste ore, immagino, voci anche più autorevoli della mia interverranno. Volevo però approfittare di questi pochi minuti per dire due cose, anche come cittadino di una città che ha avuto delle vittime e che, io credo vada ricordato anche questo, pur avendo avuto alcuni esempi mirabili di opposizione al nazifascismo su questo tema non è stata, come non è stata tutta l’Italia, in grado di opporsi e di evitare l’Olocausto. Questa credo che debba essere assunta come una responsabilità collettiva e invece così non è nella cultura e nella vita politica e istituzionale del nostro Paese. Anche per questo titolo negativo, per così dire, volevo fare due affermazioni molto brevemente, i minuti sono pochi. La prima è la gravità in sé del dubbio che viene posto. Sembra volersi dire “se guardiamo con occhio globale, universale l’atteggiamento che magari in Europa o in Occidente si ha avuto” – e, aggiungere io, ahimè quanto tardivo e ancora limitato – “di condanna dell’Olocausto, beh, acquista un’altra realtà, è visto diversamente in India, in Cina, in Iran”, questo si vuol dire. Beh, io vorrei ricordare come la gravità assoluta di queste affermazioni debba però indurci tutti i giorni della nostra vita anche a considerare assolutamente negative anche altre cose, per esempio la proliferazione dell’uso del termine “genocidio”, la proliferazione dei momenti istituzionali di ricordo… No, no, non tutte le tragedie sono identiche. Che proprio nel cuore dell’Occidente, nel cuore e nel cervello della Nazione forse più avanzata allora tecnologicamente e fra le più avanzate culturalmente, nel punto più alto dello sviluppo culturale dell’uomo si siano progettati il rastrellamento, la caccia, l’eliminazione fisica di ogni respiro di uomo, donna e bambino di un popolo con cui si conviveva da centinaia e centinaia di anni e che questo sia avvenuto in tanti popoli contermini, con adesione, sostegno e addirittura feste celebrative - perché questa è la verità – parla alle coscienze di tutti gli uomini del mondo, di tutte le donne del mondo, in qualunque emisfero essi abitino. E proprio se si vuole che mai - e purtroppo mai vi è la sicurezza in questo senso – si possano ripetere razzismi e cacce all’uomo, l’importanza assoluta, irripetibile ed universale della condanna della Shoah va ribadita con la massima fermezza. Altre considerazioni le farò altrove, i minuti sono terminati; voglio esprimere la mia piena solidarietà - che però è persino poco, perché in questo caso la solidarietà la dovremmo a noi stessi come uomini colpiti da fatti così gravi ed indecenti – alla comunità ebraica bolognese e ad ogni suo componente.

martedì 5 dicembre 2006

"Gravi le offese ai Gay dei cortei di Roma."

Bo. 4 XII 2006
NOTA STAMPA

Intervento di Ferrari (DS) in Consiglio comunale

Le ripetute e diffuse offere rivolte a cittadini di diverso orientamento sessuale durante i cortei e la manifestazione conclusiva della giornata di Roma del 2 Dicembre sono molto gravi.
Si è trattato di fenomeni organizzati, addirittura con l'uso di camion adibiti a set teatrali d'occasioni, di numerosi striscioni e di slogan, tutti con contenuti lontani dall'ironia e dallo scherzo e nel segno dell'insulto e del disprezzo.
L'On. Fini ha parlato di una manifestazione che aha avuto il primato morale di non compiere atti di violenza, noi stiugmatizzioamo che nessuna voce si sia levata per criticare e prendere le distanze da quanto è accaduto.
Il Consiglio comunale di Bologna ha giustamente criticato altre manifestazioni con atti e slogan inaccettabili, anche offendere e minacciare i diversi è fatto che non deve essere accettato, in alcun modo.
Suscita preoccupazione che molti giovani e giovanissimi siano stati fra i protagonisti di tali azioni. Questo consegna una ancora maggiore respopnsabilità ai politici organizzatori e dirigenti.
Tutti, qui a Bologna, abbiamo condannato la recente gravissima violenza perpetrata contro un altro "diverso" in una scuola del torinese, quella del video trasmesso in Internet, una violenza svolta in una fioritura di svastiche alla lavagna.
Oggi bisogna condannare questa "caccia" al diverso, di altro segno, per prevenire, per affermare il rispetto umano.
E' un copmpito che tutti devono sentire. Il centrodestra parli, si distanzi. E' il momento.

sabato 25 novembre 2006

In Comune. Intervento in Comm. Bilancio sulla Legge Finanziaria

Il consigliere Ferrari: in merito all'Odg presentato dalla Consigliera Calari è del parere che venga mantenuto con le dovute calibrature e rimodulazioni che tengano conto dell'incontro ANCI e Governo e delle variazioni del testo della Legge Finanziaria che ne sono derivate. La manovra si poteva fare più piccola, questo può anche essere, ma la manovra è cresciuta per due obiettivi: per rientrare dal debito e per non rimandare ad altra fase investimenti mirati allo sviluppo. Le due cose devono essere considerate insieme per comprendere la manovra finanziaria nel suo complesso. Gli è capitato di assistere, qualche mese prima del voto, ad una conferenza del prof. Onofri, ed ancora condivide le affermazioni del Professore circa la necessità di imprimere, subito, all’ inizio del mandato legislativo, un segno di rigore e di sviluppo alle scelte di politica economica. E ancora, ricordava Onofri, di limite all’espansione del precariato e insieme di aumento della produttività e flessibilità del lavoro.
Ben si comprende, in questo quadro, come si crei un sovraffollamento di attese ed istanze sulla manovra economica. Bisogna quindi parlarne con tranquillità e senza preconcetti anche per quanto riguartda le ricadute sul piano locale.
Bologna paga sempre per la sua migliore qualità, il fortissimo impegno sui servizi, più di altre città ogni stretta di bilancio.
Nessuno può accusare il Comune di Bologna di avere lesinato critiche a Roma anche in questa occasione. Si è avuta maggiore attenzione a preservare le quote di spesa ministeriali.
Ma, pur comprendendo le critiche dei Comuni, ritiene che la spesa ministeriale sia difficilmente comprimibile, in molti comparti, almeno a breve, perché largamente indirizzata all’impiego per pagare il personale.
Conoscendo il mondo della scuola, ad esempio, può osservare che si evidenzia una situazione molto grave, si assumono finalmente lavoratori precari, ma non ci sono risorse per investimenti sulle strutture edilizie e sulla qualità della didattica.
Vi è una spesa per stipendi sulle grandi voci nazionali rilevantissima, nelle scuola si parla del 94-95%. Occorrerà fare riforme profonde nel pubblico impiego, ma potranno essere fatte nelle riarticolazioni orari-impieghi, sulla flessibilità dei neo assunti, tenendo presente però che il problema del precariato, già grave, va ridotto e non esteso.
Tutto, in sostanza, si può ipotizzare e si dovrà fare ma intervenire per riforme senza ulteriori risorse è inimmaginabile.
Quindi è irrealistico accusare il governo di avere chiesto ad altri o di fare tagli che esso ha evitato invece di fare.
Ha trovato, leggendo sui giornali, che la somma molto grande delle alla finanziaria si compone, in larga misura , di posizioni del tutto contraddittorie.
Si potrebbe dire che sommando tutte le critiche si arriva a zero.
Anche per quanto riguarda le infrastrutture occorre tenere presente che sviene in evidenza quanto il governo Berlusconi ha occultato: enormi emergenze sulle grandi compagnie di trasporto, al collasso, e la necessità di interventi a sostegno di vasti fenomeni di degrado al Sud.
Alitalia, Ferrovie, Napoli: queste le voci che stanno emergendo.
Anche queste voci possono asciugare ancora di più le risorse per le infrastrutture e per gli Enti Locali. Anche da qui origina la difficoltà a procedere più positivamente nel rapporto tra centro e periferia perché si evidenziano ogni giorno le grandi priorità nazionali come se si fosse scoperchiato il vaso di Pandora. Negli anni di gestione del ministro Tremonti si era riusciti a tenere il coperchio chiuso.
Bisogna tenerlo presente.
Sviluppo e rientro del debito, emergenze e riforme, queste le antinomie che pure devono stare insieme.. Trovare un equilibrio come questa Finanziaria prova a fare rischia di colpire anche ciò che è più debole nei bilanci, perchè è più legato alla volontà politica ed alla storia delle buone amministrazioni , come i servizi e le opportunità di crescita paritaria .
Bisognerà innovare ancora e molti, anche a livello locale.
L’autonomia che viene ridata ai Comuni, sul piano fiscale e della politica del personale, se oggi può sembrare amara a fronte di poche risorse, potrà tuttavia essere molto utile per impostare una nuova fase che permetta di mantenere un profilo alto delle Autonomie locali e di concorrere al ripristino delle condizioni finanziarie della Repubblica.

mercoledì 22 novembre 2006

NOVECENTO E OGGI. ANCORA UNA VOLTA FINE DELLA POESIA?

Colloqui sul classico
Liceo Ginnasio Statale "Luigi Galvani"
Biblioteca "Zambeccari"-
Via Castiglione, 40 - 40124 Bologna - tel. 051-226461
Mercoledì, 22 novembre 2006 - ore 15,30

Davide Ferrari, Università di Bolzano

NOVECENTO E OGGI. ANCORA UNA VOLTA FINE DELLA POESIA?

Comune. Il voto sull'ordine del giorno di condanna dei comportamenti di un gruppo di manifestanti a Roma nel corteo sul M.O.

L'intervento di Davide Ferrari, nel Consiglio comunale di Bologna, Lunedì 20 Novembre
(dal resoconto stenografico)

Consigliere FERRARI:
Grazie, signor Presidente. Con brevità interverrò perché già numerosi colleghi hanno preso la parola.
D’altra parte non stupisce che questo stia avvenendo per l’importanza dell’ordine del giorno e ancora più, sia concesso dirlo senza sminuire l'odg, per la serietà in se'dell’argomento.
Serietà dell’argomento perché, colleghi, in sede istituzionale noi dobbiamo considerare due problemi che abbiamo di fronte.
Il primo è quello che deve riguardare tutto questo Consiglio - e prego davvero di ponderare questa esigenza prego ogni Consigliere, ogni Consigliera, a qualunque Gruppo esso appartenga e qualunque siano le espressioni di dissenso già espresse anche oggi - di esprimere comunque il consenso a quel punto che l’ordine del giorno certamente indica: la condanna senza alcun distinguo o esitazione degli atti gravissimi che sono stati compiuti nella manifestazione di Roma.
Questo è un nostro preciso dovere istituzionale e quindi considero l’ordine del giorno che ci viene presentato un ordine del giorno istituzionale, e da questo punto di vista considero anche le due firme dei proponenti, (il Presidente Sofri ed il Vicepresidente Foschini , ndr).
Quindi non si tratta di schieramenti bipartisan o non bipartisan, si tratta di un' inevitabile, obbligatorio, doveroso atto istituzionale, tendente a prendere posizione dopo quello che è accaduto.
E ripeto, su quel punto, almeno su quel punto sarebbe assai opportuno che questo obbligo fosse da tutti noi assolto, qualunque sia l'opinione sulla situazione che ha determinato anche questi fatti, così come determina ogni giorno insieme alle tragedie del Medio Oriente migliaia e migliaia di fatti di acutissima tensione in tutto il mondo.
Attenzione, vorrei dire una parola in più: se questo obbligo non sarà assolto è facile immaginare che questo stesso atto avrà delle ripercussioni inevitabili; vogliamo dire mediatiche, vogliamo dire politiche, vogliamo dire di ulteriore e sovrabbondante polemica politica?
E' ben facile immaginare che questo accadrà. Quindi siccome rispetto le opinioni di tutti, ognuno può trovare le sue forme ma sottoscrivere quel punto, che è il tema centrale dell’ordine del giorno, fa parte, ripeto, di un dovere istituzionale assoluto.
“Assoluto”, cioè sciolto da altre considerazioni di merito.
Abbiamo poi un secondo elemento che io penso vada considerato, su cui mi sembra insistesse opportunamente il collega Naldi e che io vorrei riprendere, con brevità anche se le questioni sono immense.
Io lo riprendo così, colleghi: alla vigilia delle due manifestazioni di Milano e di Roma qual era il punto su questi temi che teneva banco?
Era forse un’indistinta e cieca solidarietà ad uno dei popoli in lotta oppure l'assunzione forte, che veniva affermata anche dal Governo italiano e non senza conseguenze e divisioni anche nella stessa opinione pubblica democratica, penso alle comunità ebraiche, dell’esigenza di una più netta volontà di pace, tendente a realizzare un intervento internazionale che ponga fine alle migliaia e migliaia di morti civili.
Questo teneva banco, è vero o no?
Bene, si svolge un fine-settimana di mobilitazioni e siamo ai temi che stiamo discutendo.
Non sono gli stessi temi, l’attualità politica è mutata, ha fatto un passo indietro; ed ecco allora quando si dice, giustamente, che vi possono essere intenzioni molto diverse fra i partecipanti singoli o in gruppo alla manifestazione di Roma ed i promotori, ma è pur vero che un redde rationem deve avvenire. La conclusione da tirare è che purtroppo non siamo andati avanti di fronte a un’esigenza che di drammatica attualità, che è quella di un forte e diretto intervento internazionale di pace a Gaza e nella Palestina.
A me è capitato non più tardi di una settimana fa di incontrare una delegazione della Mezzaluna palestinese, cioè la Croce Rossa palestinese.
E' una delle realtà che pur avendo un compito specifico, che non è un compito politico ma è un compito medico, di sostegno umanitario, di sostegno assistenziale, svolge però inevitabilmente anche da molti anni una funzione quasi di ambasceria culturale di questo popolo, che ha una sua Istituzione ma non ha un suo Stato.
E’ chiarissima la domanda che proviene da queste ambascerie e che, in una situazione politica e culturale, dopo l’11 settembre sempre più difficile per il popolo palestinese, non più facile, sempre più difficile ogni giorno che passa, si rivolge a una generalità di soggetti.
Altro che "bipartisan", cerca di incontrare tutti e chiede da un lato campagne concrete di sostegno ai feriti, alle famiglie che hanno perso casa per i bombardamenti, a coloro che sono incarcerati, spesso senza garanzie, non soltanto di diritti umani ma anche di quei diritti sanitari, il diritto a essere curati, il diritto a non vedere la problema malattia progredire senza assistenza in carcere. Dall’altro lato l’insistenza politica prioritaria che viene posta, è tesa a ricordare sempre la considerazione seguente:"attenzione noi esistevamo come problema prima della guerra in Iraq, prima dell’11 settembre; esistiamo adesso come problema autonomo, che interpellanza tutte le conoscenze per essere risolto”.
E coloro che portano avanti, con un nesso immediato altre rivendicazioni assieme alle lotte che si vorrebbero a sostegno del popolo palestinese, comunque uno le voglia considerare, proprie quel sostegno indebolisce drammaticamente.
E’ un tema che ha una lunga storia nella questione palestinese, cari colleghi, perché purtroppo non c’è stata soltanto la cecità di chi per decenni ha detto “non esiste il popolo palestinese, abbiamo di fronte soltanto persone che possono avere il passaporto giordano o egiziano o siriano”.
Non c’era soltanto "costui"-per dir così- ma c’era anche a Sinistra chi diceva ad esempio “che quella lotta e quel popolo potevano essere riconosciuti solo se si fossero dati a quella lotta una connotazione di classe e non nazionale” oppure “se fosse loro data una connotazione internazionalista più chiara”.
Oggi sembrano cose lontanissime ma non lo erano vent’anni fa.
Per esempio i palestinesi addirittura di questo dovevano occuparsi : “decidere cos’era meglio fra l’URSS e la Cina”.
Sembrano follie ma sono cose che hanno tenuto banco per molti molti anni.
Invece no colleghi, la questione palestinese è una questione specifica, dove si è compiuta una ferita, che certo pesa sulla coscienza della dignità umana di ogni popolo del Terzo Mondo, quanto noi in occidente non riusciamo più a comprendere, ma è una questione specifica, prioritaria alla risoluzione di altre e non secondaria. Quindi, cari colleghi, non c’è soltanto la barbarie delle frasi che si sono gridate, che da per sé basterebbe, ma anche rispetto alla qualità stessa di quella manifestazione bisogna interrogarsi.
Occorrono forme di solidarietà che tendano a mettere maggiormente in rilievo la questione palestinese, non a caricarla del peso delle ingiustizie del mondo intero, perché c’è una urgenza che non ammette repliche.
Io credo che questo sia un punto che va anche a interpellare la nostra coscienza morale.
Chi segue quel popolo da molti anni, a me capita di farlo, sa che non si scherza con chi ogni giorno non sa se avrà se avrà un risveglio.
Non si scherza. Né per avere una preferenza né per avere un voto né per cercare uno spazio politico né per affermare i valori supremi di un’umanità che, al riparo in altri continenti, può guardare al Terzo Mondo irridendolo.
Non si scherza.
Sarà quella questione qualcosa che finché non sarà risolta, inevitabilmente interpellerà il mondo intero ogni giorno che passa.
Allora io interpreto, colleghi, questo ordine del giorno come un dovere istituzionale da condividere, e come tale lo voterò senz’altro; mi auguro e sono sicuro che prosegua la nostra iniziativa internazionale, così ampia e ricca e così necessaria.
Una iniziativa internazionale da portare avanti anche come Comune, quanto sia importante lo capiamo quando poi arriviamo al dunque di questioni così rilevanti.
Dico questo perché altre volte si è parlato di impegni eccessivi, addirittura di sprechi a fronte degli interventi di cooperazione.
Mi auguro che presto avremo l’occasione per un dibattito altrettanto veritiero e importante che ci consenta di comprendere i passi avanti che devono essere fatti e non di dover partire da un serio passo indietro, dovuto al gravissimo e colpevole errore che si è compiuto.

lunedì 20 novembre 2006

Palestina, errori e conflitti. (Stenografico)

Consigliere FERRARI: Grazie, signor Presidente. Con brevità interverrò perché già numerosi colleghi hanno preso la parola e d’altra parte non stupisce che questo stia avvenendo per l’importanza dell’ordine del giorno e ancora più, sia concesso dirlo, per la serietà dell’argomento. Chiederei un attimo di attenzione perché dopo non riesco più a parlare. Serietà dell’argomento perché, colleghi, in sede istituzionale noi dobbiamo realizzare due problemi che abbiamo di fronte. Il primo è quello che riguarda tutto questo Consiglio, deve riguardare tutto questo Consiglio - e prego davvero di ponderare questa esigenza prego ogni Consigliere, ogni Consigliera, a qualunque Gruppo esso appartenga e qualunque siano le espressioni di dissenso già espresse anche oggi - di esprimere comunque quel punto che l’ordine del giorno certamente esprime, insieme ad altri, di condanna senza alcun distinguo o esitazione degli atti gravissimi che sono stati compiuti nella manifestazione di Roma. Questo è un nostro preciso dovere istituzionale e quindi considero l’ordine del giorno che ci viene presentato un ordine del giorno istituzionale, e da questo punto di vista considero anche le due firme dei proponenti. Quindi non si tratta di schieramenti bipartisan o non bipartisan, si tratta di un inevitabile, obbligatorio, doveroso atto istituzionale, tendente a prendere posizione dopo quello che è accaduto. E ripeto, su quel punto, almeno su quel punto sarebbe assai opportuno che questo obbligo fosse da tutti noi assolto, qualunque sia la nostra opinione sulla situazione che ha determinato anche questi fatti, così come determina ogni giorno insieme alle tragedie del Medio Oriente migliaia e migliaia di fatti di acutissima tensione in tutto il mondo. Attenzione, vorrei dire una parola in più: se questo obbligo non sarà assolto è facile immaginare che questo stesso atto avrà delle ripercussioni inevitabili; vogliamo dire mediatiche, vogliamo dire politiche, vogliamo dire di ulteriore e sovrabbondante polemica politica? Ma è ben facile immaginare che questo accadrà. Quindi siccome rispetto le opinioni di tutti, ognuno può trovare le sue forme ma quel punto che è il tema all’ordine del giorno fa parte, ripeto, di un dovere istituzionale assoluto. E quindi come tale, lo dice la parola stessa, “assoluto”, cioè sciolto da altre considerazioni di merito. Abbiamo poi un secondo elemento che io penso vada considerato, su cui mi sembra insistesse opportunamente il collega Naldi e che io vorrei riprendere, con brevità anche se le questioni sono immense. Io lo riprendo così, colleghi: alla vigilia delle due manifestazioni di Milano e di Roma qual era il punto su questi temi che teneva banco? Era forse un’indistinta e cieca solidarietà ad uno dei popoli in lotta oppure il senso forte, che veniva anche dal Governo italiano e non senza conseguenze e divisioni anche nella stessa opinione pubblica democratica, penso alle comunità ebraiche, cioè l’esigenza di una più netta volontà di pace, tendente a realizzare un intervento internazionale che ponga fine alle migliaia e migliaia di morti civili. Questo teneva banco, è vero o no? Bene, si svolge un finesettimana di mobilitazioni e siamo ai temi che stiamo discutendo. Non sono gli stessi temi, l’attualità politica è mutata, ha fatto un passo indietro; ed ecco allora quando si dice, giustamente, che vi possono essere intenzioni molto diverse fra partecipanti singoli o di gruppo a una manifestazione e promotori, è pur vero che un redde rationem possiamo tirarlo: la conclusione è che purtroppo non siamo andati avanti di fronte a un’esigenza che di drammatica attualità, che è quella di un più forte intervento internazionale di pace a Gaza e nella Palestina. A me è capitato non più tardi di una settimana fa di incontrare una delegazione della Mezzaluna palestinese, cioè la Croce Rossa palestinese; è una delle realtà che pur avendo un compito specifico, che non è un compito politico ma è un compito medico, di sostegno umanitario, di sostegno assistenziale, svolge però inevitabilmente anche da molti anni una funzione quasi di ambasceria culturale di questo popolo, che ha una sua istituzione ma non ha un suo Stato. E’ chiarissima la domanda che proviene da queste ambascerie e che, in una situazione politica e culturale anche dopo l’11 settembre sempre più difficile per il popolo palestinese, non più facile, sempre più difficile ogni giorno che passa, si rivolge a una generalità di soggetti. Altro che bipartisan, cerca di incontrare tutti e chiede da un lato campagne concrete di sostegno ai feriti, alle famiglie che hanno perso casa per i bombardamenti, a coloro che sono incarcerati, spesso senza garanzie, non soltanto di diritti umani ma anche di quei diritti sanitari, il diritto a essere curati, il diritto a non vedere la problema malattia progredire senza assistenza in carcere. Dall’altro lato la fortissima insistenza, l’insistenza politica prioritaria che viene posta, è questa: dice l’iniziativa del popolo palestinese “attenzione noi esistevamo come problema prima della guerra in Iraq, prima dell’11 settembre; esistiamo adesso come problema autonomo, che interpellanza tutte le conoscenze per essere risolto”. E coloro che portano con un nesso immediato altre lotte, comunque uno le voglia considerare, accanto e insieme a quella, quella indebolisce drammaticamente. E’ un tema che ha una lunga storia nella questione palestinese, cari colleghi, perché purtroppo non c’è stata soltanto la cecità di chi per decenni ha detto “non esiste il popolo palestinese, abbiamo di fronte soltanto persone che possono avere il passaporto giordano o egiziano o siriano”; non c’era soltanto costui ma c’era anche a Sinistra chi diceva ad esempio “esisterà quella lotta e quel popolo se si darà a quella lotta una connotazione di classe e non nazionale” oppure “ci si darà una connotazione internazionalista più chiara”. Oggi sembrano cose lontanissime ma non lo erano vent’anni fa. Per esempio addirittura di questo dovevano occuparsi i palestinesi: “decida cos’è meglio fra l’URSS e la Cina”. Sembrano follie ma sono cose che hanno tenuto banco per molti molti anni. Invece no colleghi, quella è una questione specifica, dove si è compiuta una ferita, che certo pesa sulla coscienza della dignità umana di ogni popolo del Terzo Mondo, quanto noi in occidente non riusciamo più a comprendere, ma è una questione specifica, prioritaria alla risoluzione di altre e non secondaria. Quindi, cari amici, non c’è soltanto la barbarie della frase, che da per sé basta, è compiuta, ma anche rispetto alle manifestazioni bisogna interrogarsi su forme di solidarietà che tendano a mettere maggiormente in rilievo la questione palestinese, non a caricarla del peso delle ingiustizie del mondo intero, perché c’è una urgenza che non ammette repliche. Io credo che questo sia un punto che va anche a interpellare la nostra coscienza morale. Chi segue quel popolo da molti anni, a me capita di farlo, sa che non si scherza con chi ogni giorno non sa se avrà se avrà un risveglio. Non si scherza. Né per avere una preferenza né per avere un voto né per cercare uno spazio politico né per affermare i valori supremi di un’umanità che, al riparo in altri continenti, può guardare al Terzo Mondo irridendolo. Non si scherza. Sarà quella questione qualcosa che finché non sarà risolta, inevitabilmente interpellerà il mondo intero ogni giorno che passa. Allora io interpreto, colleghi, questo ordine del giorno come un dovere istituzionale da condividere, e come tale lo voterò senz’altro; mi auguro e sono sicuro che al nostra iniziativa internazionale, così ampia e ricca e così necessaria anche come Comune, lo capiamo quando poi arriviamo al dunque di questioni così rilevanti – dico questo perché altre volte si è parlato di definizioni, di termini eccessivi, addirittura di sprechi a fronte degli interventi di cooperazione internazionale, tutti, rivolti in particolare al sud e all’est del mondo – mi auguro che presto avremo l’occasione per un dibattito forse meno cogente dal punto di vista degli schieramenti politici ma altrettanto veritiero e importante che ci consenta di partire da passi avanti e non da un tragico passo indietro, dovuto al gravissimo errore che si è compiuto.

giovedì 16 novembre 2006

“Finanziaria. Importante sapere”

“Finanziaria. Importante sapere”

Giovedì 16 Novembre, alle ore 17,30
Sala Londra dell' Hotel Europa,
via Boldrini 11, Bologna

A confronto sul tema
"Il caso Legge Finanziaria: rivolte contro l'equità?
Scelte di politica economica e reazioni sociali"

intervengono:
on.Laura Pennacchi,
Guido Gambetta, Univ. Bologna
Marco Mazzoli, Univ. Cattolica Milano, Pc
Andrea De Maria, Segr. DS Bologna
Marco Monari, Segr. DL La Margherita Bologna
Aleardo Benuzzi, Assessore al bilancio Provincia Bo
Presiede: Gregorio Scalise.

Nell'occasione verrà presentata
e distribuita una rassegna di materiali informativi.

Incontro a cura dei promotori del documento
“Nell’Ulivo. Da Sinistra”
Il documento è nel sito www.impegnonuovo.eu

martedì 14 novembre 2006

In Comune. Violenza ad un ragazzo disabile, solo bullismo?

Dall’Intervento in Consiglio comunale di Lunedì 13 Novembre 2006.
Consigliere Ferrari:

”Siamo di fronte ad un fatto i cui contorni sono di una gravità tale da fuoriuscire probabilmente dai termini che sentiamo ripetere in queste ore, come :”bullismo”. Non sappiamo bene il luogo dove il fatto è avvenuto, per motivi giusti di riservatezza, probabilmente in una scuola media superiore dell’area piemontese-lombarda. Sembra, a quel che si sa, che un intera classe abbia organizzato, per poter filmare un video, una vera e propria sceneggiatura, con tanto di titoli di testa e lettering scritti alla lavagna, improntati ad una franca e dichiarata ideologia nazista, con tanto di simboli, con alcuni ragazzi nel ruolo di attori persecutori e una vittima sacrificale: un bambino, un ragazzo disabile, considerato al di fuori di ogni umana personalità. A questo ragazzo sono stati prima somministrati momenti di vera e propria tortura psicologica, poi si è passati alla tortura fisica e infine al lancio collettivo di oggetti, di libri contro la sua persona, in una sorta di lapidazione all’Italiana. Il video è stato messo in un’apposita rubrica di un noto motore di ricerca, dove pare - vedremo se la notizia è vera - che sia stato tra i più gettonati, tra i più cliccati, tanto da essere immediatamente reperibile sugli indicatori di ricerca perché molto frequentato. Una denuncia di una ragazza da Roma, che si è messa in contatto con un’associazione che si occupa di disabilità, ha permesso di arrivare alla cessazione della possibilità di vedere questo video. Un episodio di questo genere - che, ripeto, vorremmo conoscere meglio, e che vogliamo contestualizzare, vedremo, ad esempio, se tutti gli aspetti sono veri, sono realistici - tuttavia pare rimandare a numerosi gravissimi elementi. In primo luogo non vi sono state reazioni nell’ambito del gruppo classe, e questo deve far interrogare innanzitutto la classe, la scuola, tutti gli altri ragazzi, le insegnanti, le famiglie. Mi sembra sia stato affermato il rifiuto totale del concetto di rispetto e di integrazione per i ragazzi che sono portatori di handicap psichici, che pure sembrerebbe assodato e facente parte del comune sentire sociale. Un altro elemento: un uso della violenza così spudorato fa pensare a realtà dove la violenza è di casa, dove il dato che le gerarchie si impongono “a pacchere”, come si dice, è un fatto scontato. E ancora fa pensare l’utilizzo di certa simbologia nazista, che non va dimenticata. Già vedo nelle agenzie di stampa che questo elemento comincia a essere lasciato andare: no, la giovane età dei colpevoli non li assolve dalla responsabilità di avere scelto, sia pure certamente per una profondissima ignoranza, un’ideologia precisa, e qui i riferimenti ideologici sono stati espliciti e si è compiuto in nome di quei riferimenti ideologici l’atto di tortura psicologica e fisica. Allora io credo che si evidenzino da un fatto di simile gravità, quasi fosse la punta di un iceberg, una serie di vaste preoccupazioni e necessarie avvertenze. Guai fermarsi all’accentuazione del singolo caso, non bisogna montare una campagna scandalistica ma interrogarsi su come si considera la violenza nella società, come la si veicola e la si impone, sulle risorse e le modalità della prevenzione della violenza, del bullismo, delle ideologie di sopraffazione, nella nostra scuola e nel contesto giovanile. Voglio ricordare che agisce da parecchi anni l’Istituzione Minguzzi a Bologna che conduce da tempo e nell’oggi una vasta serie di iniziative, alcune già terminate e altre che stanno per riprendere, che tutte cercano di insistere, formando insegnanti ma anche dirigenti scolastici, mettendo in comune le risorse degli Enti locali, della famiglia e della scuola, su alcuni concetti basilari che possiamo chiamare di educazione alla convivenza. Quanto poco sia generico questo termine lo comprendiamo a partire da fatti di questo genere. Tutto si tiene: se non si rifiuta il senso della violenza e della sopraffazione del più forte non ci può essere integrazione né fra generazioni né fra popoli né fra persone di diversa abilità. Se non si combatte la negazione dell’integrazione non ci può essere rispetto umano, rispetto per la radice umana e l'integrità di ogni persona. Se non vi è questo rispetto non è possibile alcun percorso educativo. Mi è venuto alla mente un ricordo. Può darsi che mi induca ad un ragionamento improprio, che nulla centri, magari scopriremo che il fatto non è accaduto nel "profondo Nord" ma altrove. Pure mi è sovvenuto come io conosca bene le scuole di quella zona d’Italia, e sono ottime scuole. Le conosco perché per molti anni, dal 90 al 2003, vi ho tenuto letture e corsi di didattica della poesia. Mi colpiva, in particolare presso un grandissimo istituto della provincia di Milano, l’esplodere in una primavera di qualche anno fa, di quei famosi manifesti che un partito politico - non è presente in questo Consiglio (la Lega Nord, ndr)- mise per ironizzare sulle preghiere di alcuni cittadini presenti in quella realtà, e altri per dileggiare l’omosessualità e così via: ogni primavera una fioritura rinnovata. Nessuno sembrava notarli più di tanto, non positivamente ma neanche negativamente. Se si arriva a questo, alla propaganda del pregiudizio e dell’odio, oltre il disprezzo per la diversità, non è poi difficile che si compiano passi in avanti su quella strada. Tutto si tiene ed è ora di cominciare a rendersene conto. Tirando un filo è tutta la matassa che viene ad essere dipanata. E lungo questa matassa troviamo questioni rilevantissime, rispetto alle quali non basta la denuncia retorica o l’appello alla moralità, questioni rilevantissime di asse culturale e di scelta profonda che l’Istituzione deve fare. Ogni istituzione - ripeto, dalla scuola, all’Ente locale, allo Stato - non solo per vigilare e reprimere, ma per assicurare un’educazione di integrazione, di rispetto per la persona umana e di riconoscimento del reciproco convivere”.

lunedì 13 novembre 2006

Saddam Hussein.Sì al processo. No alla pena di morte.

Saddam Hussein. Importante processare un dittatore. No alla pena di morte. Presto un appello dalla società civile bolognese.

L''intervento svolto il 6 Novembre, in Consiglio, dal consigliere Davide Ferrari (DS).

(Dalla nota stenografica)
Consigliere FERRARI:
I minuti sono pochi ed è giusto che sia così, da Regolamento e anche per il carattere cittadino della nostra sede consiliare. Non ho voluto tuttavia evitare di citare quanto sta accadendo, che credo riguardi particolarmente anche un Paese come il nostro, che è direttamente impegnato non solo in Iraq ma in più Paesi dello scacchiere mediorientale e orientale.
Io credo che di fronte al processo a Saddam Hussein e alla condanna a morte che è conseguita al termine della prima fase processuale dovremmo evitare due rischi.
Il primo è quello di tacere, di non dire, come tutta l’Europa sta dicendo: "No alla pena di morte".
E’ di poche ore fa, e mi fa particolarmente piacere, in quanto corregge le prime voci che venivano dall’Inghilterra, la dichiarazione del primo ministro Tony Blair: inequivoca. Dice Blair: "Siamo sempre contrari alla pena di morte". Giusto, ha ragione.
E come tutta l’Europa credo che anche noi nel nostro piccolo dobbiamo testimoniare questa contrarietà, questa ferma, forte contrarietà.
Contemporaneamente io credo che bisogna evitare un altro rischio, quello di delegittimare il fatto che Tribunali, per quanto discutibilissimi, abbiano però la cura e il mandato, la possibilità, l’autorevolezza per processare figure che sono state in passato, e con tali responsabilità, di primo piano nella scena internazionale e certamente nel loro Paese. E’ probabile che ognuna delle accuse che abbiamo visto nella stampa internazionale a quel Tribunale sia vera, e tuttavia che qualunque dittatore sappia che può terminare di fronte a una Corte credo sia un fatto positivo.
E’ quindi proprio per dare maggior valore alla tendenza che nel mondo si va affermando a processualizzare, a ordinamentare la condanna, prima affidata solo alle armi e alla storia, i crimini orrendi di tanti regimi, credo che sia importante affermare che il culmine della civiltà giuridica è la negazione della pena di morte e non il suo contrario.
Ho voluto aggiungere nel titolo di questo intervento "reazioni a Bologna", perché Bologna, che ha una società civile così ricca e anche un mondo del Diritto così articolato, sono sicuro, ne ho informazione, non mancherà di vedere la promozione di un momento specifico di testimonianza e di dichiarazione.
E’ nella nostra storia, è nelle nostre caratteristiche. E penso che non ci si debba fermare, come talvolta si fa, al senso dell’ineluttabile, al senso della nostra piccolezza di fronte a grandi fenomeni che turbano il mondo.
No, può essere molto importante una testimonianza di civiltà in un momento come questo laddove, non dimentichiamolo mai, oltre a motivi di ordine generale quali quelli che ho richiamato, c’è anche una ragione specifica per assumere un più netto profilo civile e democratico. Migliaia di nostri soldati sono impegnati su diversi fronti e con diversi compiti. Credo che anche per questo, parlo della società civile Bologna sicuramente sarà ancora una volta presente fra le città di pace, di libertà, di condanna delle dittature, di richiesta di pene umane, di rifiuto della pena capitale.

lunedì 6 novembre 2006

Sulla condanna a morte di Saddam (Stenografico)

Vicepresidente FOSCHINI: Procediamo con il consigliere Ferrari sulla condanna a morte di Saddam Hussein.

Consigliere FERRARI: Grazie, signor Presidente. I minuti sono pochi ed è giusto che sia così, da Regolamento e anche per la nostra sede. Non ho voluto tuttavia evitare di citare quanto sta accadendo, che credo tocchi anche un Paese come il nostro, che è direttamente impegnato non solo in Iraq ma in più Paesi dello scacchiere mediorientale e orientale. Io credo che di fronte al processo a Saddam Hussein e alla condanna a morte che è seguita dalla prima fase processuale dovremmo evitare due rischi: il primo è quello di tacere, di non dire, come tutta l’Europa sta dicendo. Ed è di poche ore fa, e mi fa particolarmente piacere, corregge le prime dichiarazioni che venivano dall’Inghilterra, la dichiarazione del primo ministro Tony Blair inequivoca. Dice Blair: “sempre contrari alla pena di morte”. Giusto, ha ragione. E come tutta l’Europa credo che anche noi nel nostro piccolo dobbiamo testimoniare questa contrarietà, questa ferma, forte contrarietà. Contemporaneamente io credo però che bisogna evitare un altro rischio, quello di delegittimare il fatto che Tribunali, per quanto discutibilissimi, abbiano però la cura e il mandato, la possibilità, l’autorevolezza per processare figure che sono state in passato e con tali responsabilità di primo piano nella scena internazionale e certamente nel loro Paese. E’ probabile che ognuna delle accuse che abbiamo visto nella stampa internazionale a quel Tribunale sia vera, e tuttavia che qualunque dittatore sappia che può terminare di fronte a una Corte credo sia un fatto positivo. Proprio per dare maggior valore alla tendenza che nel mondo si va affermando a processualizzare, a ordinamentare la condanna, prima affidata solo alle armi e alla storia, dei crimini orrendi di tanti regimi, credo che sia importante affermare che culmine della civiltà giuridica è la negazione della pena di morte e non il suo contrario. Ho voluto aggiungere nel titolo di questo intervento “reazioni a Bologna”, perché Bologna, che ha una società civile così ricca e anche un mondo del Diritto così articolato, sono sicuro, ne ho informazione, non mancherà di vedere la promozione di un momento specifico di testimonianza e di dichiarazione. E’ nella nostra storia, è nelle nostre caratteristiche. E penso che non ci si debba fermare, come talvolta si fa, al senso dell’ineluttabile, al senso della nostra piccolezza di fronte a grandi fenomeni che turbano il mondo; no, può essere molto importante una testimonianza di civiltà in un momento come questo laddove, non dimentichiamolo mai, oltre a ragioni generali quali quelle che ho richiamato c’è anche la ragione di assumere un più netto profilo civile e democratico quando migliaia e migliaia di nostri soldati sono impegnati su diversi fronti e con diversi compiti. Credo che anche per questo, parlo della società civile, ci saranno altri momenti, Bologna sicuramente sarà ancora una volta presente.
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venerdì 27 ottobre 2006

Il Senato boccia il decreto sugli sfratti.
La lotta politica della Destra colpisce gli "ultimi".
E' necessaria una reazione, per l'equità, per la solidarietà.



Giudico molto grave il voto con il quale il Senato ha bocciato la conversione
del decreto legge 29 settembre 2006 n.261, che quindi è decaduto.
Il decreto determinava il blocco degli sfratti per finita locazione di
immobili
ad uso abitativo, a favore di conduttori con reddito annuo famigliare inferiore
a Euro 27.000 e con presenza nel nucleo famigliare di persone ultrasettantenni,
figli a carico, malati terminali o portatori di handicap con invalidità
superiore al 66%.
Tecnicamente sono state accolte le pregiudiziali di costituzionalità
presentate dal centrodestra (senatori Pastore e Ferrara di FI).
Il provvedimento a) riguardava soggetti ben precisi assolutamente bisognosi
dell’aiuto pubblico; b) escludeva sfratti per morosità; 3) non era un
provvedimento di pura proroga dell'esistente, accompagnando la sospensione
degli sfratti con disposizioni per programmi di edilizia sovvenzionata ed
agevolata da parte dei Comuni e un piano nazionale straordinario di edilizia
residenziale pubblica a favore degli stessi soggetti beneficiari della
sospensione.
La bocciatura del Senato mostra una destra scatenata che pur di braccare il
Governo ha dimostrato una ben scarsa sensibilità verso le persone in condizioni
di bisogno.
Insomma, quella cultura dell’ ”abbandono” di chi ha bisogno che alimenta
da tempo il grande “piano inclinato” di rinuncia al principio costituzionale
della solidarietà.
E’ stato stimato che il decreto riguardasse circa 200.000 famiglie.
fra queste centinaia sono a bologna, moltissimi gli anziani in età molto
avanzata.
La grande stampa ha sottolineato quasi escluisivamente la sconfitta del Governo
ma sconfitte, ancora una volta sono queste famiglie.
L'opposizione al Governo sempre di più si colora o come una offensiva tesa ad
intercettare categorie e corporazioni, contro l'interesse generale, oppure come
attacchi diretti alla solidarietà ed all'equità.
Quanto è avvenuto deve indurre ad una reazione. Non basta governare. L'Unione e
l'Ulivo devono sopstenere, nella società, le ragioni della giustizia sociale
che sono nei provvedimenti di questo Governo.

Davide Ferrari

www.davideferrari.org

giovedì 26 ottobre 2006

Davide in Comune: "Il Nobel a Yunus"

INTERVENTO IN CONSIGLIO COMUNALE SU:
IL PREMIO NOBEL PER LA PACE 2006 A MUHAMMAD YUNUS
16/10/2006


Consigliere FERRARI (DEMOCRATICI DI SINISTRA)

Grazie Presidente,
io voglio ringraziare anche il nostro capogruppo Claudio Merighi per la sensibilità sul tema e per aver chiesto al nostro Gruppo di intervenire.
La notizia è notissima, è una notizia mondiale: è stato premiata, questa volta, certo col premio Nobel per la Pace e non quello di categoria, quello per l'economia, non una figura di economista accademico, tutto teso - come purtroppo spesso capita - a restringere le possibilità di inclusione di quelle grandi parti del mondo che dallo sviluppo risultano escluse, ma invece è stata premiata la figura di un grande economista, bangladese che ha dedicato tutta la vita ad utilizzare la propria intelligenza, la propria scienza non per escludere ma per includere allo sviluppo tante persone.
Racconta nei suoi libri, Yunus, come è giunto a questa sensibilità, che purtroppo non è di tutti.
Racconta quando, dopo la laurea e i primi insegnamenti negli Stati Uniti, tornando al suo Paese, verificava le condizioni di spaventosa povertà nei villaggi che egli stesso doveva attraversare per recarsi alla sua facoltà.
Decise di non fermarsi alla carità, pur necessaria, ma cominciò a riflettere su quali erano i meccanismi che perpetuavano la povertà.
Tra questi la presunta insolvenza delle famiglie povere, e quindi l'impossibilità di accedere a qualunque forma di sostegno economico tramite prestito, da parte del sistema produttivo ufficiale, il sistema bancario ufficiale, che pure in quel Paese, che è comunque un Paese di grandi attività commerciali, seppur poverissimo, esisteva ed esiste.
Ed ecco allora che iniziò ad approfondire, sia teoricamente, sia dando impulso pratico, addirittura iniziando in proprio, raccogliendo risorse sotto il suo nome, talvolta persino dalle proprie tasche, a costruire esperienze di micro-credito.
Le sue iniziative crebberò via via, mettendo in evidenza due cose: innanzitutto l'infondatezza del pregiudizio dell'insolvenza delle famiglie povere ed in secondo luogo l'emergere della capacità gestionale e manageriale delle donne, che chiunque di noi, se pone mente alla storia della propria famiglia può dire di conoscere, ma che molto spesso non è per nulla considerata come una risorsa economica.
Noi nel parlare di Yunus, consideriamo quanto ha fatto per i Paesi molto poveri, ma il suo pensiero ed il suo metodo insegna molto anche per quanto avviene anche nei nostri Paesi.
In fondo il paradigma di questo economista- rendere le donne e le famiglie protagoniste, favorire l'apertura di credito dall'economia ufficiale a chi ne ha più bisogno- vale anche per il nostro Paese, non è qualcosa di lontanissimo dal nostro mondo, da confinare in esperienze belle ma marginali.
Mentre venivo in Consiglio, cari colleghi e amici, sono passato in macchina lungo i viali e ho visto come anche in zone dove fino a poco tempo fa sarebbe stato ben bizzarro trovare sportelli bancari, vediamo fiorire una quantità incredibile di sportelli di banche, spesso anche provinciali, di città da Bologna molto lontane. Ecco, viene il dubbio, ci ho pensato dovendo fare questo intervento, se appunto anche da noi non sarebbe più necessario, invece di investire nella proliferazione degli sportelli e nella pubblicità, se il sistema bancario fosse assai maggiormente rivolto alla crescita, al finanziamento dello sviluppo a partire dalle fasce più deboli della nostra realtà sociale.
Anche da noi centinaia di migliaia di persone non ricevono fiducia dal sistema creditizio, o la perdono molto facilmente,.. Il capitale non si mette a rischio, non produce la diffusione del benessere sociale.
Yunus ha molto da dire anche a noi.
Salutiamo l'importante riconoscimento che gli è stato conferito, apprestiamnoci, ancor più, a leggerlo ed a verificare, anche alla luce della sua esperienza, quanto è possibile fare per ridare speranza di vita e di sviluppo a tante fra le nostre famniglie.

lunedì 23 ottobre 2006

Nell’ Ulivo. Da sinistra.

Nell’ Ulivo. Da sinistra.
Oltre i NO e i SI senza confronto.
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10 punti per unirci. E un 11°
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1.
Veniamo da percorsi ed opinioni diverse.

Ma, per noi tutti il progetto di un “partito dell’Ulivo” è un terreno di confronto decisivo, al quale non vogliamo sfuggire.
Alcuni di noi hanno dissentito o ancora dissentono rispetto a questa proposta ma affermano, nondimeno, che ora è il momento di una assunzione di responsabilità e non di trasformare in qualcosa di opposto ed alternativo ciò che non si condivide o che non si considera l’unica o la migliore strada.
Chi fra noi invece ha dichiarato sempre interesse e speranza per questo progetto ritiene che il punto sia oggi quello di allargarne con coraggio il raggio, di definirne i contenuti.
Serve quindi una dialettica diversa e moderna, non basata sui SI e sui NO preconcetti.
Chi ritiene di riferirsi ad idealità più forti, ad un impegno politico e civile maggiormente attento alla giustizia, alla pace, alla democrazia ha la possibilità e il dovere di portare un contributo a questo confronto, anzi di richiederlo, di esigerlo.
Ci riferiamo a quelle culture ed espressioni politiche che possono essere chiamate “le Sinistre” dei movimenti riformatori.
Sappiamo bene che non servono etichette ma prese di posizione concrete.
Tuttavia è indubbio che quelle sensibilità ed esperienze esistano e devono essere raccolte e interpretate.

2.
Cosa sono e dove sono le “Sinistre” dei movimenti riformatori.

Nei DS.
Tutti i DS sono un partito di Sinistra, per storia e per coscienza, modo di essere ora di centinaia di migliaia di aderenti.
C’è stata tuttavia nei DS una battaglia particolare, delle Sinistre del partito, negli ultimi congressi, che deve essere considerata- e per chi vi ha partecipato, rivendicata- in alcuni punti di fondo:
-l’impegno per realizzare e difendere il progetto di mettere in campo una coalizione larga di partiti e movimenti per battere la destra e cambiare davvero;
-l’affermazione dell’unità di tutta la coalizione e non solo dell’hard core riformista;
-l’aver detto no a dividere, con un muro ideologico, i riformisti dai radicali.
Ma, a nostro avviso, questa considerazione sarebbe insufficiente e illusoria se non facesse i conti criticamente
-con le ripetute sconfitte subite ai congressi
(per capire che c’è una identità di governo nel partito dei DS, non solo conformismo)
-con il voto degli elettori per l’Ulivo
(per capire che c’è voglia di parole nuove e di cominciare, più ancora che “ricominciare” a fare politica)
-con il risultato elettorale politico decisivo ma molto difficile
(per capire che al pettine sono venuti errori e manchevolezze di tutta la coalizione democratica. Non si può far finta di niente, se molto serie sono le insufficienze dei gruppi dirigenti,la campana suona per tutti, bisogna riflettere e capire che occorre un nuova strategia che colleghi consenso a cambiamento.)

Nella Margherita, nel mondo cattolico.
Così come molti cattolici sono impegnati nei DS, la Margherita non è un partito solo di cattolici. Esiste però una “sinistra oggettiva” nella Margherita e nei movimenti cattolici democratici, che ha propri nomi, linguaggi e pratiche.
Esiste riconoscibilissima e coraggiosa nella solidarietà e nella ricerca di pace.
Esiste anche sui terreni difficili della vita e della realtà delle diverse “famiglie” e dell’evoluzione dei comportamenti sociali.
Il punto sembra quello, oggi, di favorire una conseguenzialità maggiormente diretta fra scelta per i deboli, impegno sociale e scelte direttamente politiche e di promuovere, in forme originali, una nuova consapevolezza circa il rapporto fra politica, istituzioni e società.
Tanti hanno animato quelle realtà, significative e ricche di capacità di proposta, che hanno per anni prefigurato il “Partito democratico” reagendo con un lavoro di studio ed una maggiore ricerca di spessore e di interiorità culturale a un processo regressivo di negazione della speranza presente anche nel mondo ecclesiale, e tanti sono chiamate a scendere in campo, con più esplicitezza, proprio oggi che il Partito Democratico si vuole costruire.
La sua nascita positiva amplierebbe molto il senso del loro impegno civile, mentre il suo fallimento segnerebbe una sconfitta, o quantomeno determinerebbe un terreno più arido e infertile, anche per le esperienze che sono cresciute in una dimensione prevalentemente sociale o culturale.

Nei movimenti della Società civile e del mondo del lavoro.
E’ qui il punto più rilevante.
Guai a chi dice “i movimenti passano, i partiti restano”, comunque sia posizionato nella complessa geografia del centrosinistra.
Bisogna essere in sintonia con quella giusta opinione presente nei movimenti che chiede, insieme, di stare nel processo unitario e di portarvi contenuti più forti e caratterizzati.
Basta pensare al movimento che ha condotto e vinto la battaglia per la salvezza della Costituzione: non c’è stata al suo interno una volontà di passato ma una più chiara avvertenza sulla posta di gioco. Da qui è venuta la sua caratteristica di tenere assieme uno spirito non minoritario, la necessità di coinvolgere strettamente le grandi forse del centrosinistra, con il richiamo a valori forti ed ad una pratica intransigente sui contenuti di democrazia.

Non si tratta però di esportare nel nuovo più grande contenitore “democratico” le cellette delle "sinistre" presenti ora nei contenitori separati o di federarle.
Bisogna tentare qualcosa di molto più significativo.
Cercare di essere lievito e reagente perché le grandi culture della democrazia siano interpellate a riproporsi, a riformularsi, nella nuova forza.
Si deve incidere sull’interezza del processo di nascita dell’Ulivo, non su suoi settori autolimitati.

3.
Nessuno oggi può conoscere esattamente quale sarà l’approdo del progetto “Partito Democratico” ma
- nessuno può pensare di essere spettatore.
- nessuno può pensare sia solo un puro fattore omologativo.
Nasce anche dalla specifica storia italiana e sottolinearlo non è senza conseguenze, anche per i contenuti programmatici che è necessario si dia e per i quali occorre battersi.

Senza Moro e Berlinguer nessuno può capire di cosa stiamo discutendo.
Senza quindi il disegno di due lunghi cammini tesi all’inclusione sociale e generazionale, senza una concezione forte della democrazia, popolare e ispirata a partecipazione.

Senza una forte ripresa della tradizione di lotta civile e sociale ed insieme di governo, incarnata per molti decenni dal Partito Socialista, di Lombardi e De Martino, non si comprendono oggi questioni attualissime come la laicità e il valore universale della democrazia.

Senza il pensiero repubblicano, da Mazzini in poi non ascrivibile al liberalismo ma tendente all’Associazione ed ad una vita politica consapevole e collettiva, non è possibile riconoscere la radice, in Italia, del senso dello Stato democratico e del rapporto, basato sui diritti e sui doveri, fra i cittadini ed istituzioni.

Il nuovo partito unitario non deve nascere “contro” la storia dei grandi movimenti riformatori e certamente non contro la Sinistra italiana.
Sentiamo in questo ribadimento il nostro più forte carattere.

Per questo , per prima cosa, preferiamo dire “Ulivo”, non solo “Partito Democratico”, un nome che, isolato, richiamerebbe altri continenti e visioni importanti ma oggi non sufficienti della libertà politica e della emancipazione sociale.

4.
I compiti e l’ iniziativa
di chi, come noi, si richiama ad un forte contenuto di valori di democrazia e giustizia sociale sono duplici:
--da un lato contribuire a un chiarimento sui punti di fondazione etici e sociali del nuovo “Ulivo” e
--dall’altro lato impegnarsi perché si promuova un ampio e vero processo costituente dell’Ulivo, con modalità di partecipazione vaste e antitetiche all’appello ai gia’ convinti. E’ qui, non nel ritrarsi, l’antidoto migliore al rischio di veder nascere una forza moderata e fatta solo di ceto politico.

5.
Alcuni punti di riferimento, non solo valori

Possiamo ragionevolmente convenire che una forza politica che abbia la pretesa di essere insieme per la democrazia e continuatrice dell’opera di avanzamento e rimodulazione sociale operata dai grandi movimenti riformatori, dovrebbe partire da almeno quattro principi:

A) La libertà.
L’esperienza storica ha dimostrato che una società socialmente avanzata non può che essere democratica, e cioè caratterizzata dal pluralismo politico ma non solo, dalla partecipazione, da un effettiva possibilità di comunicazione ed espressione creativa, dal decentramento e dal rispetto integrale dei diritti umani fondamentali.
La storia ha dimostrato che la libertà, individuale ma per tutti, può mettere radici solo in un quadro economico pluralistico e, tuttavia, riesce, via via , a realizzarsi effettivamente solo in società che vedano una democratizzazione e regolamentazione dell’economia di mercato, con una forte componente di perequazione sociale.
La difesa e, meglio, lo sviluppo dei diritti di libertà non può non prevedere una particolare attenzione alla laicità dello Stato, in Italia ed in Europa.La laicità è garanzia della Repubblica, della sua possibilità di essere la patria di tutti i cittadini italiani, dovunque siano nati, qualunque sia la loro fede religiosa.
Ogni partito ha il dovere di affermare il valore della laicità.
Certamente il nuovo partito dell’Ulivo, nel quale lavoreranno assieme coscienze individuali e riferimenti culturali collettivi molto differenti.
La Repubblica laica, secondo la Costituzione, si avvale del contributo ideale e sociale di chi segue principi di fede e ne difende la libertà, secondo un principio di pluralità e non di reciprocità.
E’ giusto chiedere il rispetto dei diritti dei cristiani, in ogni paese del mondo, ma non si può ammettere di ridurre, o di modulare, qui i diritti di cittadini di altre fedi religiose.
I diritti fondamentali sono universali e non trattatibili o divisibili.
L’iniziativa politica ha una sua natura propria e specifica, vive della ricerca del consenso e della condivisione, può quindi essere il luogo della democrazia più adatto a realizzare
Isole per “stranieri morali”, istituzioni, temi, legislazioni, dove si registri rispetto e condivisione anche fra culture diverse e comuni passi in avanti.
La natura della politica è particolarmente adatta per costruire e difendere principi di comunità e di coesione sociale anche se fondati su una “identità di Arcipelago” e non sull’antico principio di “un popolo, una cultura, uno stato”.
Questo principio non può non avere come corollario la ricerca dell’unicità di razza e di sangue. Una ideologia che ha portato l’Europa ed il mondo sull’orlo del baratro, causando il più orrendo crimine della storia, proprio in uno dei cuori più avanzati, per civiltà e ricchezza della civiltà umana.
E’ quindi da meditare, con avvertenza e senso di pericolo, ogni rivendicazione di segnare una tradizione, una religione a fondamento dell’Italia o dell’Europa.
Proprio l’eredità più ricca della nostra tradizione e della religione che ha tanto contribuito a disegnarla, ha permesso di andare oltre, di volere la libertà dei diritti e dei doveri uguali per tutte le donne per tutti gli uomini.

B) L’eguaglianza.
Una forza di democrazia moderna e non formale non può che essere schierata a difesa degli interessi materiali e morali del mondo del lavoro.
Su questa base va ricercata una convergenza strategica con i ceti medi più interessati alle dinamiche di democratizzazione e innovazione. Una particolare attenzione va dedicata alla tutela dei segmenti più deboli del lavoro.
L’eguaglianza si traduce sul piano giuridico nella parità davanti alla legge, sul piano economico-sociale in una politica di equità, cioè di giustizia sociale e di empowerment dei lavoratori e di assunzione concreta di cittadinanza dei ceti emarginati.
Nei rapporti tra i generi, il principio di eguaglianza implica la pari dignità e l’affermazione del valore della diversità.
Per liberare la forza propulsiva della differenza femminile bisogna promuoverne il protagonismo politico e sociale, anche con azioni positive (come ad esempio, le ‘quote rosa’ in politica e sul lavoro), che correggano le discriminazioni prodotte dalla difesa del predominio maschile.non si tratta di creare o proteggere ghetti di genere ma di capire che il punto di vista maschile , da solo, non ha capavcità di leggere e guidare le trasformazioni sociali.

C) La solidarietà.
Ci sentiamo eredi di una serie di tradizioni solidaristiche, umanitarie e universalistiche, comprese quelle socialiste, associazionistiche e cristiano-sociali. E’ perciò naturale chiedere cheil nuovo Ulivo nasca per impegnarsi per difendere e sviluppare lo stato sociale, l’occupazione e la dignità del lavoro. Ma solidarietà significa anche perseguire un rapporto diverso con i paesi del Terzo Mondo, i cui interessi non sono affatto coincidenti con quelli dei lavoratori del mondo sviluppato. Ad esempio, occorre mettere in discussione, in primo luogo, la politica protezionistica degli USA e dell’Europa, che costituisce uno dei principali fattori di destrutturazione delle economie e delle società dei paesi poveri.
Una conseguenza dell’impostazione universalistica e umanitaria è anche il perseguimento della pace come sistema di governo “universale”, come obiettivo realistico e comunque urgente per un’umanità ormai in grado di autodistruggersi.

D) Lo sviluppo umano.
I movimenti di riforma sociale sono nati dal processo di modernizzazione industrialista, come reazione difensiva alle sperequazioni e all’alienazione che la società capitalistica produceva. Ma libertà, eguaglianza e solidarietà sono prodotti dal pensiero e dall’azione degli uomini e delle donne non solo e non tanto necessità poste per sempre dalla storia, “prodotti” che costano e richiedono conoscenze e risorse.
Perciò la sinistra è per definizione progressista. Ma il progresso non può più essere rozzamente inteso come incremento delle quantità delle produzioni, e nemmeno necessariamente come sviluppo economico, e ancor meno con la liberalizzazione ed estensione dei mercati.
Anzi il rischio è quello di vedere compromesso il progresso, oggi, nell’era del massimo e globale svilupppo.
E’ per questo motivo che si allarga la reazione ai mali della globalizzazione nelle forme gravi e sbagliate del rifiuto del progresso.
E’ quindi urgente e richiede grandi lotte e diffuse esperienze di governo trasformatrici far sì che i processi di globalizzazione diventino uno strumento di progresso per l’intera umanità, solo se governati dalla democrazia e dalla politica e sottratti al dominio incontrollato delle forze economiche.
Bisogna concepire lo sviluppo come crescita umana, incremento della capacità di soddisfare i bisogni fondamentali e della libertà di perseguire un autonomo progetto di vita. Quest’accezione dello sviluppo comprende in primo luogo un armonico rapporto con la natura.
La Terra degli uomini rischia la morte, ma un altro mondo deve essere possibile, deve essere possibile crescere senza distruggere, democratizzare la democrazia e globalizzare i diritti, progredire non regredire.


6.
La missione dell’Ulivo è alta. Serve un vero processo costituente.

Se i riferimenti sono ineludibilmente alti, e se il nostro compito è quello di considerarli da un punto di vista di governo e non solo di critica del reale, per costruire l’Ulivo non bastano assemblaggi che, anche a prescindere dalle buone intenzioni, finirebbero per essere basati su ideologismi preconcetti, su liberismi ormai alle nostre spalle, su “tagli delle ali” e restringimenti del campo di influenza della nuova grande forza che si vuole costruire.
Bisogna portare le grandi esperienze della Sinistra italiana di oggi in questo nuovo campo, che sarà comunque quello più vasto nel centrosinistra.
Così l’Ulivo potrà essere una storia lunga e feconda di futuro e, nell’oggi, essere la forza trainante e che riesce a tenere unita la coalizione e a reggere la prova del governo.
Per questo è importante avere i contenuti per dialogare anche con le Sinistre più radicali.
Non è utile rifugiarsi “più oltre”, invadere il loro campo- per esempio costruendo nuove ipotizzate forze politiche “più a sinistra”, con personale politico proveniente dai DS.
Anzi questa scelta probabilmente renderebbe più difficile il confronto, potrebbe contribuire a far mancare una forte interlocuzione fra riformisti e radicali.

Il progetto dell’Ulivo può realizzare, al suo compimento, uno strumento utile per ampliare la libertà, l’eguaglianza, la solidarietà, lo sviluppo umano?
E a quali condizioni?
Dopo il recente Seminario di Orvieto possiamo dire che finalmente è partito un dibattito sul partito democratico.
Ma è ancora molto ristretto, non sembra ancora aver raggiunto il livello necessario alla promozione di una Costituente e sembra più interessato ai Tempi e alla Struttura del nuovo partito.
Il “come” è importante. Anche per noi, soprattutto perché non vogliamo che una stagione di movimenti per la riforma della politica vada perduta.
Ma e’ ancora più importante il “perche’” del nuovo partito, gli assi di riferimento valoriali, e i suoi obiettivi politici.
Abbiamo cercato di richiamare i valori, ora, per iniziare a discutere gli obiettivi bisogna innanzitutto definire la priorità dell’oggi.

7.
L’Oggi. Sostenere il governo, prima priorità.

Abbiamo vinto. Dobbiamo governare.
Abbiamo vinto per poco. Serve una forte capacità di coinvolgere ed allargare il consenso.
Ma innanzitutto con le idee e la presenza nella società, non con il posizionamento nella scena politica.
Serve una iniziativa nella società.
Occorre realizzare e implementare il programma dell’Unione. Bisogna chiarire sempre per chi si governa, far parlare i bisogni, portarli ad avere voce.
E’ necessario agire nella società civile per campagne che pongano le questioni di riforma e sorreggano poi l’azione del Governo.

8.

Ma sorreggere un Governo non basta, bisogna governare. E allora bisogna chiarire per che cosa si governa. I “Perchè” dell’Ulivo.

8.1
Perché..è giusto porre la questione Pace.
Le politiche di pace, di ripudio della guerra, i valori della nonviolenza sono del tutto attuali. Oggi di più e non meno.
Sono il vero discrimine.
Una vera alternativa alla guerra fra le civiltà e le culture è possibile oltre che necessaria.
Dire Occidente non è sufficiente, e, quasi sempre , è sbagliato e fuorviante.
Ma non si può eludere il nodo di tracciare una strategia di pace a partire dal ruolo dell’Italia, la sua storia e collocazione.
Europeismo e Mediterraneo, allora, non isolazionismo.
Il Partito del Socialismo Europea e l’Internazionale Socialista sono riferimenti importanti per questi motivi.
Da un lato la Margherita deve prendere atto non solo che i DS non vi rinunceranno ma che nessun progressista in Europa potrà sedersi a lungo in banchi intermedi, dall’altro lato, bisogna, tutti insieme, chiarire su cosa e a chi deve allargarsi la famiglia progressista.
Molto si cita, a questo proposito, il Partito democratico americano, ma, almeno con la medesima intensità, bisogna aprire la sinistra nata in Europa al presente di grandi processi di trasformazione che avvengono in nazioni rilevantissime come il Brasile, il Sud Africa, l’India.

8.2
Perché..è giusto porre la questione Ambiente.

Il punto di irreversibilità nelle condizioni di degrado della vivibilità del pianeta è vicino.
Pure sembra che nessuno voglia fino in fondo occuparsene.
La politica, rimpicciolita dalla globalizzazione, deve e può rinascere se afferra i nodi globali, non li elude.
Così per il nodo fra pace, salvaguardia del pianeta e sviluppo
Ecco un tema sul quale misurare chi è moderno e progressista e chi resta indietro.
Al Gore è un buon esempio.
Non abbiamo molto tempo. Dobbiamo incominciare a fare sul serio.
Per la pace e per l’ambiente, per un vero e equo sviluppo bisogna promuovere una trasformazione delle Istituzioni Economiche Internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, WTO, organizzazione del commercio internazionale) che modifichi l'attuale configurazione in cui il meccanismo di voto è basato su indicatori di ricchezza economico-finanziari e dà, di conseguenza un peso politico fortissimo e decisivo ai Paesi immensamente più ricchi.
Paesi e poteri che sono spesso in condizione di imporre le loro politiche economiche alla maggior parte dell'Umanità. Da questo discendono scelte internazionali penalizzanti per lo sviluppo del mondo intero, che hanno causato, tra le altre cose, aumenti dei flussi migratori. In questo contesto un ruolo decisivo può essere svolto dall'Unione Europea.
Ma una politica per l’ambiente si costruisce anche nella dimensione locale e con l’educazione ed il sostegno a comportamenti personali consapevoli sui consumi, il quotidiano , i rifiuti, la mobilità.


8.3
Perché…è’ giusto porre la questione Sociale.

Bisogna realizzare una politica economica e sociale dell’Ulivo. Un’ Ulivo che governa.
Non ci si può fermare ad una discussione che si divide fra liberalizzatori anticorporativi e difensori dei diritti di ogni lavoratore nel suo lavoro.
Questi punti di vista propongono naturalmente obiettivi del tutto positivi ed ineludibili ma non realizzabili, se considerati isolatamente.
E’ necessario portare avanti l’economia dell’Italia, e tutti i suoi aspetti di qualità e di futuro per garantire il rispetto concreto dei diritti di chi lavora e per liberare forza di impresa e creatività nel lavoro.
Ci vuole una politica economica seria, espansiva e qualitativa
Questo chiede il movimento sindacale confederale.
Per venire all’attualità è’ l’unico modo per arrivare, dopo una legge finanziaria equa ma sofferta, ad una più generale politica economica del Governo che sia strategica e condivisa.
La Sinistra nei momenti più alti della sua storia si è fatta interprete della domanda di sviluppo, e quindi di giustizia sociale, dell’intero paese.

Oggi i capitoli di questo tema sono la scelta di un modello di alta qualità, per l'Italia, con l'affermazione della priorità dell'investimento per "Ricerca e sviluppo", e la realizzazione di un sistema per una "Economia della conoscenza".
Ma altrettanto importanti, in un modello qualitativo, sono la "Democrazia economica", nelle forme di impresa, con un forte ruolo della Cooperazione, reso però più limpidamente differente per obiettivi e funzionalità non solo per forma giurica rispetto all'impresa privata, e del Terzo settore.
La precarietà del lavoro come sistema non ha messo al riparo l'Italia dalla concorrenza dei nuovi grandi paesi in sviluppo e ha dequalificato il lavoro.
Oltre che ingiusta e negatrice delle prospettive di vita dei giovani e delle famiglie, la precarietà è anche incompatibile con un modello di sviluppo rinnovato e vincente.
La sicurezza sul lavoro è tornata maggiormente all'attenzione, per le lotte delle organizzazioni sindacali, per l'evidenza di terribili eventi luttuosi, per le ripetute dichiarazioni del Presidente Napolitano.
Ma ancora è tollerata una grande negazione del fenomeno dei morti e degli infortunati, della realtà di luoghi di lavoro e intere catene di produzione organizzate , come sulla precarietà o sul "lavoro nero", su condizioni di insicurezza strutturali.
La lotta per la sicurezza del lavoro deve essere un assoluto e distintivo impegno per l'Ulivo, dal governo e nella società.

Consideriamo ancora arretrato il dibattito sull'economia.
Si mantiene ancora, sia pure con primi segnali di indebolimento, una egemonia di teorie ormai obsoletre, fondate sulla affermazione dell'automaticità delle forze del mercato rispetto ad ogni altro intervento possibile.
E' questa prevalenza che ha influenzato, causando errori seri, i processi di privatizzazione.
Essi non sono l’inevitabile panacea dei mali dello sviluppo. Dipendono dalla geometria delle forze in campo e dall'effettiva funzionalità che dimostrano, non da principi inderogabili. Oggi bisogna cominciare a dire che dovrebbero avere luogo solo ove realmente necessari (cioè nei settori e nei servizi caratterizzati dalla presenza di concorrenza e non di monopolio né di oligopolio, perché in tali caso ci si limita a regalare public utility ad un monopolista privato) e che occorre valutare le esperienze positive, ma anche quelle negative, delle privatizzazioni avvenute, in Italia e nel mondo.
Un tema appare sempre più cruciale per definire identità e funzione storica di una forza politica democratica:
difendere il welfare state mantenendo il suo ruolo storico di tutela delle fasce più deboli e dei lavoratori.
Il welfare ha bisogno di una politica di costruzione della ricchezza che metta in discussione il come ed il cosa produrre e di politiche di redistribuzione della ricchezza prodotta che mantengano il punto dei diritti universali della persona, in particolare ad una cura ed assistenza garantite, nell’ informazione sulle opportunità, nella quantità e nella qualità.

Un rinnovato intervento pubblico, per lo sviluppo e la redistribuzione sociale, ha bisogno di risorse ingenti, proprio mentre deve essere affrontata con rigore, per svolgere un ruolo di indirizzo a livello europeo,il peso del debito pubblico.
Oltre alla lotta agli sprechi, certo non da sottovalutare, ma che non può essere una agitazione retorica, emerge sempre più il tema della fiscalità.
Quanto fisco è necessario, quanto è sopportabile?
L'equità fiscale e la lotta all’evasione non possono essere, nelle condizioni date, un'opzione negoziabile.
Nessuna raccolta dai cittadini può essere data per scontata senza una battaglia politica che parta da una ferma definizione degli scopi.
Non ci sono infatti più possibilità di misure compensative basate su inflazione e redditività del debito. La conflittualità tenderà quindi ad essere alta.
Il problema è rendere esplicite le mete del rigore e della raccolta delle risorse per costruire consenso e reggere la prova.


8.4
Perché….è giusto porre la questione del diritto alla conoscenza,
per una grande quantità di uomini e donne di qualità.
Formalmente, nel campo democratico, si può dire in tutto il mondo, è affermata la primaria rilevanza della ricerca scientifica, della formazione, della scuola.
Eppure sembra essersi fermata la grande spinta ad innalzare la scolarità di base e superiore.
Per molti sarebbe finito, con il '900, il secolo della scuola.
E la ricerca, sia pure in maniera disomogenea nei vari paesi, non si afferma come un valore fondante del futuro della crescita.
Anche e soprattutto qui si registra l'insufficienza dell'impostazione liberista. Il suo risultato, nel medio periodo, è infatti una compressione della mobilità sociale ed un restringimento dell'utilizzo del capitale umano.
Serve una svolta. Deve essere garantita da una scelta pubblica. Anche nel nostro paese.
Servono risorse, investimenti da mettere al riparo della riduzione del debito.
Investimenti nella scuola e nell'università, dove ormai rimane poco oltre alla spesa per il personale- che peraltro qualcujno insiste a chiedere che venga ridotta invece che riqualificata.
E nella ricerca, per garantire un equilibrio fra il sapere di più lungo valore e il sapere immediatamente applicato all'innovazione produttiva, per altro entrambi insufficientemente promossi.
Il mondo dell'economia va coinvolto in questo grande investimento. Senza ottenere la partecipazione delle imprese non si avranno mai risorse sufficienti , finanziarie ma anche umane, di esperienza.
Ma non si può attendere il privato o delegargli la funzione di porre la conoscenza a fondamento del patto sociale, della ripresa italiana.
Solo l'intervento pubblico può essere il volano di questo investimento, che deve avere dimensioni davvero significative.
Se si raggiunge la consapevolezza del problema si comprende come la scuola pubblica mantenga ed anzi rafforzi il suo ruolo.
Un ruolo di riferimento di un sistema formativo più grande e integrato, certamente, ma comunque più urgente e necessario per la coesione di un paese multiculturale e, per la prima volta nella storia, maggiormente diviso nelle speranze di progressione sociale di quanto non fosse per le generazioni precedenti.
Non si può accettare l'aumento delle differenziazioni culturali e sociali. E' accompagnare il tramonto delegare la funzione formativa ad un mercato che non può, prima ancora di non volere, assolverla. Non serve solo un'eccellenza, un ceto dirigente, serve ad un paese moderno una grande quantità di uomini e donne di qualità. Senza la lungimiranza nell'investimento per la scuola pubblica l'Italia non ha futuro.

8.5
Perché...è giusto porre la questione dei modi della politica.

La vita dei partiti, anche di DS e Margherita, pur diversissimi, è largamente inaridita.
Le maggioranze appaiono spesso supportate da un consenso che parte anche da posizioni di rendita e non dalla forza delle idee.
Sempre più spesso la credibilità della persona dei leaders sembra l’unico oggetto su cui rimane una scelta da esercitare, non solo ai cittadini ma anche agli iscritti.
Ma anche componenti di minoranza- chiuse e tutte interne- non sono una alternativa e spesso si sono negate ad una trasformazione del modo di fare politica con più rigidità e non meno protervia delle strutture ufficiali.
Certamente occorreranno Primarie regolate e a parità di risorse garantite, per formare una nuova dirigenza.
Ma non si vive di sole Primarie. Anzi.
Se non si realizza un partito moderno e partecipato anche le Primarie possono accompagnare degrado e prevalenza di censo.
In ogni caso una riforma della vita interna dei partiti, anche per garantirne efficacia e trasparenza e per ridurne costi impropri ed oppressivi, non può darsi senza una riforma elettorale.
Bisogna superare la grave legge attuale che ha teso a chiudere la grande questione della riforma della politica, apertasi dopo la caduta del muro di Berlino e dopo “tangentopoli”, con una salda ed indecente unione fra potere partitico restaurato e rinforzato e oligarchismo decisionale.
Su questo tema bisogna unirsi subito e unire tutti coloro che con buona volontà vogliono cambiare, per ridare potere di scelta ed indirizzo ai cittadini.


9.
Un partito? E quale?

Sembra naturale che la nuova forza politica viva di forme di partecipazione, elaborazione e decisionalità articolate nei tre corpi costituiti dagli iscritti, dagli eletti nelle istituzioni e dai cittadini elettori.

Sembra però opportuno che ai diversi corpi corrispondano funzioni e decisioni differenti( per esempio che una spiccata vocazione programmatica sia assegnata al corpo degli eletti) e pare necessario che venga assicurato il principio democratico di “una testa un voto”.
Altrimenti non sarebbe garantita una dimensione ampia e partecipata e una presenza territoriale ricca e strutturata.
Ma ci pare evidente che dovranno esserci forme di integrazione graduale dei partiti attuali e che non sia pensabile, ne auspicabile, una loro scomparsa ad un’ora x.
Vi sono ragioni storiche, abitudini ed attitudini diverse nel fare politica irrinunciabili per decine di migliaia di militanti.
Vi sono persino questioni patrimoniali che certo non saranno risolte in un giorno.
Tuttavia se è necessario riconoscere distinzioni di vocazione e di funzione non si dovrà perpetuare in correnti separate, senza reale e verificata identità politico-programmatica, ciò che oggi già esiste nelle presenti forme partito.
Soltanto l’afflusso di migliaia di nuovi “ulivisti” potrà tenere assieme il nuovo corpo politico e un simile ingresso avverrà e si renderà stabile solo se ognuno potrà contare uguale. Se invece chi già c’è pretenderà forme diverse di decisione è evidente che chi giunge non rimarrà a lungo.
Rischio altrettanto grave è però pensare di sostituire il “vecchio” centrosinistra con un modello basato sul rapporto diretto fra un leader elettorale e un indistinto “popolo delle Primarie”.
Ciò porterebbe ben presto al contrario di quello che si vuole: ad una leggerezza fatta solo di comitati elettorali, organizzatori delle risorse e del consenso e ristretti ed asfittici nella promozione politica.
Le Primarie sono un metodo utilre e comunque oggi probasbilmente necessario per scegliere le massime leadership, per costruire una nuova classe dirigente legittimata.
Ma se dovessero diventare l’unica forma consolidata e stabile di partecipazione si accentuerebbe il distacco fra cittadini e politica.
La partecipazione dovrà avere il potere di decidere non solo i vertici ma anche i contenuti, i programmi.
Bisognerà costruire forme di decisione,sedi, congressi di programma, per determinare democraticamente gli obiettivi da perseguire
Servono quindio strutture di bas, territoriali e /o basate su affini esperienze e conoscenze, e federazioni delle strutture del partito di coordinamento, iniziativa e servizio.
Funzioni di servizio alla cittadinanza, ad iniziare dalla diffusione di informazione e conoscenza, dovranno essere comunque compito ad ogni livello delle strutture del partito, accanto a quello della discussione politica e della preparazione ai momenti di scelta del programma e della leadership.
Non ci sono risposte precostituite su come organizzare una buona politica, l’ascolto e la socializzazione delle esperienze saranno i metodi migliori per individuarle.
Sono invece ben noti i guasti della cattiva politica, gli apparati costosi e non visibili, ben peggio del vecchio funzionariato, la scarsa attendibilità dei tesseramenti e la costruzione del consenso solo accanto a centri e persone di potere ecc ecc.
Serve più politica, non meno, per porvi rimedio, la passione dei grandi temi, delle grandi motivazioni, (il Globale) e lo studio, la discussione comune sulla realtà nella quale si vive,(il Locale).
La dialettica “Globale/Locale” dovrà riflettersi anche nel tentativo necessario di allargare gli interessi della politica ai temi del quotidiano, il limite sarà quello del rispetto e della laicità non quello della mancanza di cura.
Per questo “Globale/Locale” per noi significa anche “Generale/personale”.
La riforma della politica non la potremo mai fare da soli. Il rinnovamento dovrà contaminare tutto il sistema politico.
E la Riforma non potrà essere solo “autoriforma”.
E maturo il momento di dare trasparenza e validità certa e legale ai divetrsi momenti della vita di ogni partito anche con lo strumento di una legge.La Costituzione lo prevede, lo si è evitato per il timore, a lungo fondato, di un rischio autoritario e poi per la forza delle cattive abitudini.
L’Ulivo dovrà porre il tema accanto a quello, che chiarisce e completa, di una valida riforma elettorale.


10.
Concludendo….

Non bastano i NO e nemmeno i SI’ preconcetti.
L’impegno che ci diamo è conseguentemente la promozione del confronto, a partire dai grandi temi che abbiamo qui nominato.
Sulle premesse che abbiamo citato si può pensare ad esprimere un giudizio sul futuro partito.
Non è vero che bisogna sempre e solo scegliere fra omologazione e minoritarismo.
La cultura della democrazia, il mondo del lavoro, il protagonismo delle donne , la necessità di futuro dei giovani richiede e può realizzare qualcosa di più.

Si può scegliere l’ Ulivo solo così,a queste condizioni e con questo metodo: una scelta di unità per dare una politica alle culture della dignità umana, per impegnarsi per un futuro possibile, un mondo respirabile, il diritto a valere quel si vale.

11.
E l’11° punto.Cominciamo con il fare dei prossimi congressi di DS e Margherita delle vere assise programmatiche.

I prossimi congressi dei DS e della Margherita saranno un momento importante e un appuntamento ineludibile per tutti “quelli dell’Ulivo” anche per coloro che non fanno parte di questi partiti.
Chiediamo che siano congressi su una scelta ma anche e soprattutto su un programma.
Un programma che sia possibile discutete ed emendare.
Non da soli ma con i cittadini.
-Altrimenti le maggioranze chiederanno un voto a scatola chiusa e si ritroveranno a gestire tutti i problemi di fondare un nuovo soggetto politico senza chiarezza.
-Altrimenti le minoranze, pensiamo ai DS dove il confronto è più evidente sul NO e sul Si al Partito democratico, cercheranno una rendita, piccola e grande, basata sui voti di rifiuto della proposta rinviando a dopo la sua decisione su dove stare.
Un congresso programmatico vero e proprio non è nemmeno soltanto un”congresso a tesi”, inevitabilmente precostituite e dove la polemica si concentrerebbe nella conta su un punto o due.
Di nuovo, inevitabilmente, in modo politicistico.
Un congresso programmatico deve essere una grande iniziativa di partecipazione, dove contino percorsi di genere e di generazione, del territorio e delle competenze.
E dove sia già è possibile lavorare assieme, liberamente con chi ha contributi da portare anche se ha una tessera di un altro partito dell’Ulivo o, soprattutto, si riconosce in una militanza ideale senza appartenenza.

No a “farsi da parte”, no a delegare, serve “un impegno nuovo”.
Le culture delle Sinistre del riformismo, a cominciare da quella Socialista e del Lavoro che è radice nei DS, ma importante per tutto l’Ulivo, non possono non esserci se nasce il Partito dell’Ulivo.
L’Ulivo ha bisogno di coscienze vigili, di vedere le sue energie morali ed intellettuali, che si ritengono e forse sono, più combattive non per forza ghettizzate o minoritarie.
Bisogna esserci e aprire il confronto, coinvolgere chi ha idealità e posizioni simili che chiama, magari, per storia e cultura , con nomi differenti.
Soprattutto bisogna raccogliere la partecipazione di chi è fuori dai partiti esistenti ma vuole fare politica, seguendo idealità, valori, voglia di giustizia, e vuole farlo in un contesto vitale, “democratico” appunto.


anna rosa almiropulo, vincenzo annino, valerio benuzzi, francesco domenico capizzi, giancarla codrignani, rosanna facchini, davide ferrari, giorgio festi, ferruccio giacanelli, giuseppe giliberti, laura governatori renzoni, marco mazzoli, massimo meliconi, piero mioli, werter romani, gregorio scalise, antonio accattato, francesco annino, antonella babini, davide barbieri, massimo borioni, matteo brambilla, santino bravo, maria busi, maria teresa cacciari, nino campisi, rocco cardamone, riccardo casadio, renzo cingolani, "nino" luigi colombari, ludovico copalea, giuseppe d'agata, marica de alessandri, mauro della casa, carlo degli esposti, alessandro fabbri, andrea federici, glauco ferrari, giuseppe ferraro, claudio gandolfi, gianni ghiselli, francesco giampietro, maurizio giordani, giovanni grandi, francesco guerra, maurizio indirli, antonio lo vallo, fiorenzo malpensa, giacomo manzoli, eugenio mastrorocco, patrizia monti, tullia moretto, giorgio nuvoli, elena pedrini, luisa rossi, paolo rossi, giovanni rossini, etienne salvadore, pier paolo salvarani, paolo staffiere, giuseppe samoggia, lella torraca, roberto venturi, daniela zoboli fini…………

Per discutere, per aderire, per lavorare insieme: ulivo.sinistra@yahoo.it