martedì 16 novembre 2004

Vandalismo al Liceo Fermi.

Consigliere FERRARI - Grazie signor Presidente. Qualche giorno fa, i colleghi lo sanno, la città lo sa, si è avuto un grave fatto di vandalismo che ha inciso su alcuni giorni della vita di una scuola-il Liceo Fermi- con 1.300 studenti. Sono stati distribuiti,notte tempo, da ignoti vandali, quantità industriali di piccoli animali atti a essere esche per la pesca.

Ora, è pur vero che purtroppo, chi ha memoria di scuola lo sa, non è la prima volta che questo accade al Fermi. Mi pare, se non vado errato, circa dieci anni fa ci fu un fatto del tutto analogo.

Però è pur vero, colleghi, che questa vicenda non è oggi una questione isolata o isolabile da un clima più generale che vive la scuola nel nostro Paese e anche nella nostra città. Non bisogna fare di ogni erba un fascio, però è fin troppo facile andare ai fatti del Parini e ad altri gravi fatti consimili.

 D’altra parte opera nella nostra città un importante centro di indagine sui fenomeni del disagio giovanile e del bullismo, il centro Minguzzi, un centro pubblico che ha messo in allarme sui fenomeni crescenti di disagiuo giovanile e di bullismo le amministrazioni e la vita culturale e intellettuale della città già da molti e molti anni.

Che cosa abbiamo di fronte a noi?

Abbiamo - io credo - un fenomeno che ha due facce: da un lato la faccia molto positiva e importante della ripresa di un interesse per i fatti del mondo esterno, della vita, da parte delle giovani generazioni.

Si sono susseguite, nello scorso anno, manifestazioni e iniziative partecipate come non era da molto tempo. Nello stesso tempo, io credo, lo stesso fenomeno del protagonismo giovanile ha assunto però anche un aspetto malato, legato a fenomeni crescenti, in più luoghi, di vandalismo, di minaccia al coetaneo e a bambini più piccoli, fino a fenomeni così gravi come quello accaduto.

Perchè questo fenomeno a due facce? E’ - io credo - la ripresa - lo uso appositamente in modo neutro - di una volontà di presenza di generazioni che per molti anni sono state date per scomparse. C’è anche chi lo ha teorizzato, chi ha chiamato queste generazioni le generazioni "x" o la missing generation.

Qui di scomparso ormai non c’è più nulla; e gli adolescenti sono sempre più presenti. Purtroppo, però, è inevitabile, non soltanto con l’aspetto di una rinnovata volontà di studio o di manifestazione sociale o addirittura politica. No, non c’è solo questo. C'è anche la parte opposta dello stesso fenomeno: il diffodersi della violenza e del venir meno del senso del proprio limite.

Siamo pronti, noi, a recuperare questo terreno di sfida? Perché, guardate, si è facili profeti, se si conosce le scuole anche di Bologna, a ipotizzare fatti consimili, in più di una realtà.

Siamo pronti? Abbiamo, io credo, anche di fronte al mondo della scuola l’autorevolezza, come Istituzione democratica, come Comune di Bologna, di una chiamata al dibattito e alla formazione civica. Abbiamo - io credo - la necessità di mettere in rete, come si dice sempre, anche a vuoto talvolta, non è questo il caso, le competenze del sistema sanitario, della ricerca pedagogica e psichiatrica, le competenze delle forze dell’ordine, e, in primo luogo, le competenze del corpo docente e della scuola.

E’ - io credo - una delle missioni più importanti che spetta alle amministrazioni, agli Enti locali, che non hanno, guardate, competenze dirette ma hanno però - lo si intuisce - grandi responsabilità.

Tenete conto una cifra: 1.300 alunni vuol dire, in sostanza, nel ciclo di una generazione, in un venticinquennio, circa un quarto delle classi dirigenti e produttive medio/alte di una città. L’impressione di vivere e studiare nell'insicurezza, di essere aperti a ogni scorreria, di essere sotto un clima di intimidazione non può non restare senza traccia nei percorsi educativi e domani anche di affermazione di sé, nel lavoro, nella vita, nelle professioni sociali dei ragazzi di oggi.

Ecco perché è molto importante discuterne e intervenire. E io ho l’impressione che spetti anche noi, e con questo concludo.

Farò poi delle proposte concrete anche in forma di documenti.

Spetta a noi non essere, come spesso capita, di necessità, al mondo della scuola e alla sua dirigenza, pur di grande valore, coloro che, magari per paura di perdere adesione e consenso in quella tacita gara che è diventata l’ondata delle iscrizioni alle scuole, coloro che accettano di mettere il problema sotto la sabbia.

Non parlo del Liceo Fermi, in specifico, ma, pure, mi preoccupano i primi commenti che ho sentito su questa vicenda: "va tutto bene, siamo perlomeno uguali ad altre realtà scolastiche".

Invece quando il problema, colleghi, si presenta bisogna affrontarlo, con i ragazzi, con la scuola, con tutta la comunità cittadina.

Trasformare la fetrita in una occasione di crescita comune.

E io penso che sia possibile farlo, se le scuole non sono lasciate sole, per prevenire, prima che la repressione diventi l’ultima arma invocata o invocabile.

Qualora di repressione si potesse parlare, scoperti e trovati i colpevoli, io credo, non per legge del contrappasso auto ironica ("Avete voluto colpire la vostra scuola, allora ci dovrete stare, magari più a lungo") ma per sostanza di posizione, l’unica repressione inaccettabile sarebbe proprio l'espulsione dal mondo della scuola. Non c’è punizione più stupida verso chi la scuola ha offeso, che quella di essere cacciati via da questa scuola. La repressione sia dura, sia esemplare, ma sia nella scuola e nella frequenza scolastica.